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351 INVERNO 2020-21, Recensioni

15 Gennaio 2021, 9:00 am CET

Tarek Atoui “Waters’ Witness” Fridericianum, Kassel di Carlos Kong

di Carlos Kong 15 Gennaio 2021
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Tarek Atoui, “Waters’ Witness”. Veduta della mostra presso Fridericianum, Kassel, 2020. Fotografia di Andrea Rossetti. Courtesy l’artista e Fridericianum, Kassel.
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Tarek Atoui, “Waters’ Witness”. Veduta della mostra presso Fridericianum, Kassel, 2020. Fotografia di Andrea Rossetti. Courtesy l’artista e Fridericianum, Kassel.
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Tarek Atoui, “Waters’ Witness”. Veduta della mostra presso Fridericianum, Kassel, 2020. Fotografia di Andrea Rossetti. Courtesy l’artista e Fridericianum, Kassel.
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Tarek Atoui durante l’allestimento di “Waters’ Witness” presso Fridericianum, Kassel, 2020. Fotografia di Nicolas Wefers. Courtesy l’artista e Fridericianum, Kassel.
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Tarek Atoui, “Waters’ Witness”. Veduta della mostra presso Fridericianum, Kassel, 2020. Fotografia di Nicolas Wefers. Courtesy l’artista e Fridericianum, Kassel.

Uno strepitare metallico pulsa attraverso una disposizione di blocchi di marmo, travi d’acciaio, cavi e strumenti musicali fatti a mano, e un fruscio di vento riecheggia ovunque nella stanza. In “Waters’ Witness”, Tarek Atoui configura le registrazioni dei porti cittadini in un’installazione che sfida il suono – il mezzo principale dell’artista. La mostra di Atoui nasce dal suo progetto I/E (2015 – in corso), una serie di opere sonore e strumenti musicali che includono suoni registrati nei porti di tutto il mondo – da Porto, ad Atene, a Beirut, Abu Dhabi e Singapore.

Al Fridericianum, per la sua prima personale in Germania, Atoui ha prodotto nelle due sale dello spazio un’installazione sottile quanto disturbante, composta di oggetti scultorei e suoni, in cui si mescolano e riverberano registrazioni dai porti di Elefsina (vicino ad Atene) e Abu Dhabi. Atoui ha utilizzato microfoni a contatto per registrare le frequenze nei porti, che riverberano da un materiale all’altro – come pietra, acqua e acciaio. Gli spettatori, toccando direttamente le travi vibranti a I e i blocchi di marmo, percepiscono ulteriormente questi suoni quasi animistici: il primo evoca nuove costruzioni e il futurismo del Golfo di Abu Dhabi, il secondo l’antichità mitologica di Atene. Atoui trasforma così i corpi dello spettatore in trasduttori multisensoriali del suono al di là delle funzioni normative della percezione. Quello che le acque testimoniano viene ascoltato, sentito e trasmesso fantasiosamente attraverso zone liminali, divisioni continentali e tempi lontani. Nella sala principale un groviglio di cavi che collegano i vari elementi contraddice l’intricato sistema che Atoui ha composto meticolosamente. Nella stanza sono presenti I/E Abu Dhabi (2017) e I/E Elefsis (2015) due circuiti di produzione del suono collegati da un cablaggio particolarmente elaborato a un sistema di amplificazione sonora. I due circuiti I/E sono congiunti a una partitura spazializzata di blocchi di marmo scavati, travi a I in acciaio, strumenti delle opere precedenti di Atoui come The Duofluctus e The Disharmonica, e sottocircuiti composti di elementi delicati come una catena rotante motorizzata che schizza sull’acqua che produce un tintinnio e un ronzio al limite dell’udibilità. Entrambi i dispositivi di riproduzione emettono suoni naturali e industriali, dei rispettivi porti Abu Dhabi ed Elefsina, che poi viaggiano e vengono amplificati dagli altri oggetti all’interno del loro circuito. I sistemi I/E funzionano inoltre come unità di elaborazione ricevendo gli input dall’eco dei rumori, modulandoli e ritrasmettendoli nuovamente. Al Fridericianum, l’approccio di Atoui all’installazione sonora pone in primo piano la casualità, la possibilità e l’improvvisazione sfidando i limiti della percezione, all’interno di un sistema coreografico e calcolato. Il paesaggio sonoro di “Waters’ Witness” si trasforma nel tempo, e per tutta la durata della mostra.

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Tarek Atoui, “Waters’ Witness”. Veduta della mostra presso Fridericianum, Kassel, 2020. Fotografia di Andrea Rossetti. Courtesy l’artista e Fridericianum, Kassel.
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Tarek Atoui, “Waters’ Witness”. Veduta della mostra presso Fridericianum, Kassel, 2020. Fotografia di Andrea Rossetti. Courtesy l’artista e Fridericianum, Kassel.
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Fotografia degli idrofoni di Chris Watson mentre registrano il mormorio del porto attraverso la vibrazione delle vetrate, Atene, giugno 2015. Fotografia di Alexandre Guirkinger. Courtesy l’artista e Fridericianum, Kassel.
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Chris Watson fotografato mentre registra dei suoni attraverso un blocco di marmo presso il tempio di Elefsina, I/E project, giugno 2015. Fotografia di Alexandre Guirkinger. Courtesy l’artista e Fridericianum, Kassel.
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Fotografia della performance I/E presso Musée Du Louvre, Parigi, 2013. Fotografia di Alexandre Guirkinger. Courtesy l’artista e Fridericianum, Kassel.

Per certi aspetti, i porti rappresentano i paradossi della mobilità. Nel nostro immaginario sono simbolo della libera circolazione delle merci. A seconda di come li si guarda, possono evocare i fasti dell’industria moderna, le rovine postindustriali, o le reti di scambio globalizzate del tardo capitalismo. Oggi, poi, non possiamo non associare i porti ad eventi tragici, e a guardarli come siti infestati di migranti morti ogni anno in mare, o altre catastrofi causate dall’uomo, come l’esplosione a Beirut per esempio. In “Waters’ Witness” il paesaggio sonoro contiene tracce di immagini sonore immediatamente rilevabili – acqua, vento, metallo – che l’artista astrae da fonti originali. Atoui utilizza il suono come mezzo incarnato e transitorio per il contatto fisico, pensando a una dimensione aperta che collochi gli spettatori quali strumenti all’interno di flussi di echi e associazioni continue.

Nella seconda sala troviamo The Tables of Contents (2020), tavoli le cui superfici sono ricoperte da molle, bobine, piatti e altri strumenti da improvvisazione, da pizzicare, tamburellare e suonare a proprio piacimento. Questi tavoli degli strumenti, che durante tutta la mostra saranno attivati con performance e laboratori didattici, evidenziano la centralità della partecipazione e della sperimentazione nella pratica di Atoui attraverso diversi livelli di esperienza. Gli echi della sala principale risuonano in questa seconda sala, mentre il rumore della sperimentazione su The Table of Contents ritorna indietro andando ad alterare la fluidità del paesaggio sonoro proprio della mostra. In “Waters’ Witness”, Atoui ci trascina in un’ecologia acustica, per ricevere e perpetuare i suoni residuali attorno ai confini udibili di un mondo in continuo mutamento.

 

(Traduzione dall’Inglese di Enrico Arduini)

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