Andrea Bruciati: Un’analisi spietata della realtà, l’ambigua esaltazione dell’immagine per un anelito quasi rivoluzionario della potenza creativa.
Valerio Nicolai: Trovo degli indizi e li elaboro per dar vita a nuovi sensi a me sconosciuti, che rimandano alla ricerca di altre logiche. Il mio lavoro si dipana come un rebus di immagini che svelano segreti celati all’interno dell’opera. Sono simboli sconosciuti anche per me, che vivono quasi di vita propria: si scoprono, si raccontano storie, lasciano sentire e percepire soltanto la loro presenza, negando in gran parte la relazione con chi li osserva. Sento il dovere di dare spazio a questi dialoghi che esistono specularmente dentro di me e all’interno dell’opera.
AB: Una matrice surreale che si piega al meraviglioso: modalità che conducono anche a una maggiore consapevolezza dell’individuo.
VN: La connessione fra elementi quotidiani e la memoria collettiva dalle quali derivano esperienze mai vissute e sconosciute produce effetti misteriosi da cui affiorano verità sfuggenti, luoghi che esistono solamente nel ricordo romanzato. Ciò che vedo riesce a scatenare un tipo di relazione/rivelazione fantastica, ma al contempo autentica, che mette in atto ed eleva la mia percezione di esistenza.
AB: Una tensione insita nell’opera che sconfina in una prospettiva quasi utopica.
VN: Queste modalità operative fanno sì che io metta in dubbio ogni cosa e mi perda: voglio poter cercare senza mai trovare la fine, con continuo desiderio. Nel mio lavoro voglio mettere in evidenza passaggi mentali, congiunzioni e rimandi continui fra più pensieri e ricordi di diversa natura ma anche tra elementi, oggetti, momenti, segni…
AB: Una ricerca quasi sinestetica volta alla promessa di una visione, secondo modalità che rimandano al Decadentismo di fine Ottocento, e che tuttavia denota una rinnovata sensibilità.
VN: L’atto di produzione dell’opera diventa per me una sorta di processo psicoanalitico che ha come scopo quello di non far sfuggire nulla tra lampi di immaginazione e memorie improvvise. Di fronte allo scenario che rivelo a me stesso divento un attore inconsapevole che prova a cogliere attorno tutto ciò che può.
AB: Una ortogonalità di pensiero, uno spasmodico controllo dell’immaginazione.
VN: La razionalità si spezza e ciò che poteva non avere senso lo acquista per poter aprire le porte a un percorso a ritroso senza arrivo, ma pieno di indicazioni. Il mio è un continuo e complicato tentativo di spiegare e descrivere quello che esiste nella mia mente provando a capire i molteplici significati; ecco perché considero finita un’opera nel momento in cui non la comprendo più. Nel momento in cui capisco che non posso più raccontare, avverto una sensazione simile all’impatto con un foglio dimenticato, pieno di appunti e schemi. Essendo la narrazione inconclusa, non può più essere compresa. C’è una sorta di disincanto davanti a un lavoro o a una qualsiasi cosa che si richiude in sé, ma proprio in questa situazione ritrovo lo stupore del racconto non finito, che torna sempre al suo inizio.
AB: Una narrazione tutta interiore sviluppata soprattutto attraverso la pittura.
VN: Rimango affascinato nel constatare come può essere “sfondata” la superficie bidimensionale e rendermi conto di quanto possa divenire profonda. La pittura è lo strumento, assieme al disegno, che evolve insieme a me da tempo, permettendomi di raggiungere ciò che voglio. Lo stesso supporto crea un “confine” fra me e il dipinto, e grazie a esso esistono interscambi da una parte e l’altra o le inserzioni di vario tipo che penetrano o fuoriescono dando immagine a una sequenza di incontri con me stesso.