Quando la luce attraversa una sorgente d’aria molto calda ma non uniforme subisce delle deviazioni. Allora ciò che ci circonda – l’asfalto delle strade in estate, le auto che vi sfrecciano, le case lontane nella luce dal tramonto – perde ogni contorno, i bordi si fanno inafferrabili, e l’immagine arriva ai nostri occhi distorta come in un miraggio.
“Why does heat make things blurry” [Perchè il calore rende le cose sfocate] è il titolo della personale dell’artista greco Vasilis Papageorgiou da UNA Galleria a Piacenza. La seconda dopo “It’s 2 a.m. I am spilling out” (2019), un’installazione site specific composta da poggiapiedi in ferro e gocce di marmo sul pavimento che destrutturava lo spazio espositivo suggerendo l’ambiente di un bar ridotto a pochi, essenziali elementi. La figura umana era evocata attraverso dei props a terra ma mai presente, divenendo così l’emblema della solitudine come condizione del nostro tempo. Solitudine che spesso affligge l’individuo che è parte di una collettività a cui sente di non appartenere, o di non volervi appartenere. Se nella mostra del 2019 i lavori esposti erano il risultato di un’indagine sui luoghi di aggregazione intesi come centri di resistenza all’iperproduzione della nostra epoca, in “Why does heat make things blurry” l’artista ritorna a una dimensione più intima e domestica. E lo fa in un momento in cui, dopo due anni di pandemia da Covid-19, la rivendicazione dello spazio personale è diventata un argomento sempre più attuale.
Perno intorno al quale ruota la pratica di Papageorgiou è il tempo: i titoli dei lavori, così come quelli delle mostre, descrivono una temporalità circoscritta e precisa all’interno della quale il visitatore viene trasportato. “Perché il calore rende le cose sfocate?” è una domanda che potremmo porci in quegli attimi, ormai rari, in cui la nostra mente è rilassata, e libera da ogni obbligo può vagare con il pensiero. La ricerca dell’artista sulla quotidianità si concentra sulle fratture del tempo, sui momenti di pausa dalla sua scansione normativa – che si divide tra tempo del lavoro e tempo libero, ma in qualche modo sempre produttivo – che permettono a scenari imprevisti di emergere in una forma di ribellione contro la regola. Attimo di sospensione ideale per la riflessione è il tramonto. In questo momento sospeso tra il giorno e la notte, in cui luce e aria creano un’atmosfera dai toni surreali, tutto quello che ci circonda potrebbe essere il risultato della nostra immaginazione.
Non è un caso allora che i titoli delle ceramiche a parete portino l’orario in cui sono state terminate: 19.44, 19.56, 20.11 (tutti 2022); realizzate partendo da fotografie scattate al tramonto dal balcone della sua casa ad Atene, le sculture collocano lo spettatore in un momento e in un’atmosfera precisa, accogliendolo nella propria intimità, che viene dunque condivisa con chi guarda. Come quando il calore si alza da terra rendendo tutto sfocato, l’occhio vaga e si perde nell’aria rarefatta tipica del momento di passaggio dal giorno alla notte, dalla produttività all’ozio. Le crepe che percorrono i lavori in maniera casuale – dovute al processo di cottura della creta – simboleggiano quegli attimi non programmati e imprevisti di serate trascorse a riflettere.
Alla dimensione quotidiana fanno riferimento anche le sculture a terra della serie “Dirty clothes and water” (2022). Si tratta di secchi contenenti vestiti gocciolanti, vecchi e sporchi – quelli che l’artista indossa lavorando in studio, ad esempio – rivestiti in rame attraverso un processo di galvanizzazione. I panni celano degli oggetti ignoti di forma sferica che evocano quella del sole, ponendosi direttamente in dialogo con le ceramiche. Pur essendo familiari e parte della nostra quotidianità, questi oggetti sottintendono qualcosa di altro e di misterioso. Davanti a un evento inafferrabile, che è appena successo ma di cui vediamo solo l’effetto, la nostra immaginazione è ancora una volta stimolata, il nostro occhio libero di muoversi ed esplorare, la nostra mente di vagare.