La mostra di Mario Milizia “Controcuore”, presso la galleria Viasaterna, nasce da gesti di traduzione e traslitterazione. Alla base di ogni gesto c’è un dato che, attraverso uno slittamento linguistico o formale, si vuole mettere in discussione.
A volte questo dato è l’identità dell’artista – un io irripetibile, altre è l’identità dell’artista in quanto soggetto antropologico concluso. La serie di arazzi che costellano la mostra (per tutte le opere, 2017) riportano così una collezione di poesie che Milizia ha scritto nel 1992 e che qui sono tradotte in latino, greco, spagnolo e portoghese, in riferimento ai gruppi etnici ai quali un’analisi del DNA ha fatto risalire le origini dell’artista. Queste poesie, composte tramite la tecnica del cut-up, sono delicate affermazioni di un sé in constante movimento – una delle tante recita: “Lascia che ti dica qualcosa di me stresso. / Con occhi curiosi ho guardato / e nessun muro / io vidi. / Vidi una porta”. Visitando “Controcuore” si ha la sensazione di trovarsi di fronte all’arte di un viaggiatore. E tale è davvero Milizia, che viaggia intorno al globo, come pure nella storia, per costruire narrazioni poliamorose. “Controcuore” è anche il titolo di una scultura in bronzo, la cui forma è appunto quella del controcuore, uno strumento che si frapponeva tra la bocca del camino e la sua cornice con funzione di protezione – ancora l’allegoria di uno soglia da attraversare per arrivare al nocciolo della questione. Milizia decora il suo controcuore sovrapponendo un motivo Arts & Crafts e uno di origine arabo-andalusa. I due motivi non si fondono ma si avvicendano, come in un fraseggio di contrappunto non esiste polarità ma solo coesistenza. L’ultima sala della mostra presenta un’altra scultura, Del presente parla, una maquette di legno di un edificio classicista o un mobile d’antiquariato – poco importa, perché è proprio in questa molteplicità di interpretazioni che si può dare tanto agli uomini del Sud che a quelli del Nord, tanto agli uomini del passato che a quelli del futuro la possibilità di riconoscere in un dato manufatto un proprio sistema di valori.