Rigoroso, lontano dai barocchismi di certa arte contemporanea, Angelo Candiano può collocarsi nella linea dell’arte processuale nel senso che la sua opera si modifica, spesso impercettibilmente, col passare delle ore, degli anni, del tempo.
L’arista torinese, seppur lavori in prevalenza con gli strumenti della fotografia analogica – luce, lenti, carta fotosensibile –, si potrebbe definire un fotografo senza macchina fotografica. Da più di vent’anni Candiano ragiona sulla tecnica, l’estetica, la semiologia della fotografia, scandagliando i passaggi che compongono il processo ed evidenziando gli elementi che creano la “scrittura di luce” – si ricorda che il termine “fotografia” è stato coniato nell’Ottocento, riprendendo le parole greche phôs (luce) e graphè (scrittura). In questo modo l’artista ne estremizza il linguaggio, arrivando a dedicarsi a quella che lui definisce “fotosofia”, ovvero una fotografia spogliata dalle valenze estetiche tradizionali.
Nella mostra “Light in room” presso la galleria Guido Costa, l’artista presenta una serie di immagini (Mutanti [1997-2003], Camera [2003-2017], Fotonera [1998]) la cui gestazione ha richiesto anche anni di esposizione alla luce, quasi fossero organismi dotati di vita autonoma. In un’installazione creata ad hoc per lo spazio espositivo Candiano ha trasformato la galleria in una “camera oscura”, rendendola simbolicamente parte del processo fotografico. Dalla pesante tenda d’ingresso socchiusa penetra la luce esterna che, attraverso un filtro di lenti, proiettata sul muro crea un’immagine astratta che muta per il corso della giornata e con gli spostamenti della tenda.
Opera di luce, intangibile, impalpabile, questa installazione e l’intera concezione della mostra rientrano nel “racconto dell’immateriale” a cui la galleria ha dedicato la stagione espositiva 2017.