Ilaria Bonacossa su Fondazione La Raia / Novi Ligure

2 Agosto 2017

È una ricerca sul paesaggio quella proposta da La Raia, la fondazione nata nel 2013 per mano di Giorgio Rossi Cairo e Irene Crocco come progetto dell’azienda agricola biodinamica La Raia. 
Nel corso degli anni Fondazione La Raia ha coinvolto artisti, filosofi, paesaggisti in una serie di progetti atti ad approfondire il rispetto per l’ambiente, l’agricoltura biodinamica, la pedagogia steineriana, il legame con la tradizione (ovvero i princìpi comuni all’azienda agricola). Da settembre 2016 la curatrice Ilaria Bonacossa ne ha assunto l’incarico di direttore artistico.

La nozione di “paesaggio”, oggi, è alquanto complessa; le polarità abbracciate dal termine – ovvero la dimensione naturale e quella antropica – spesso, condividendo lo stesso terreno d’azione, entrano in conflitto. Ilaria, in che modo Fondazione La Raia si rapporta con il paesaggio e con queste possibili problematiche?

Non credo che le due visioni del paesaggio siano conflittuali. Al contrario credo si compenetrino trasformando il mondo che ci circonda. Immaginare il paesaggio senza l’uomo è forse ormai un esercizio inutile; più interessante, invece, capire come le continue trasformazioni della nostra vita e le innovazioni tecnologiche possano entrare in armonia con il paesaggio e non in conflitto.
La Raia è un’azienda biodinamica il che, di per sé, la rende unica e gli artisti invitati a intervenire devono poter assorbire questa speciale atmosfera, passando del tempo a La Raia per poter poi creare dei lavori che entrino in dialogo con il contesto e possano offrire al pubblico una chiave di lettura di questo luogo, che ha una sua sottile spiritualità. Per questo motivo gli interventi non sono mai monumentali ma al contrario “silenziose” inserzioni nel paesaggio che si aprono a una lettura personale quasi intima con il visitatore.

Il primo progetto da te curato riguarda la presentazione di BALES (2014-17) di Michael Beutler. Un lavoro che l’artista ha realizzato al parco del Kunstareal di Monaco, stendendo lunghe cannucce colorate e chiedendo a dei fattori di creare delle balle attraverso l’utilizzo di rotopresse. Tra le tematiche sottese all’opera – oltre alla delega autoriale, la relazione tra uomo e macchina, il rapporto tra naturale e artificiale – vi è quella di portare il paesaggio rurale all’interno della città. Reinstallando l’opera in un contesto agricolo, che implicazioni subentrano?

Reinstallate nel panorama delle colline del Gavi, nelle distese di prati, il lavoro si trasforma ulteriormente, mettendo a fuoco il complesso rapporto tra naturale e artificiale, tra lavoro industriale – svolto oggi dalla maggior parte delle aziende agricole – e attenzione personale e manuale verso la natura. A La Raia la vendemmia viene eseguita a mano, i filari vengono lasciati inerbiti e non falciati, tutta la conduzione delle coltivazioni avviene secondo il principio steineriano dell’interconnessione tra ogni presenza, animale e vegetale, dell’azienda.
Le grandi rotoballe dai colori fosforescenti sono una presenza estranea, quasi degli extra-terrestri che sembrano volerci ricordare le nostre responsabilità in un sistema di produzione di massa, in cui diamo per scontato il perdurare degli elementi naturali del paesaggio mentre investiamo in una forma di modernità che può determinarne la progressiva scomparsa. Se il paesaggio non verrà tutelato forse i nostri nipoti potranno vedere solo rotoballe in plastica, totalmente artificiali. La natura pop dell’intervento di Beutler vuole poi sottolineare come anche il paesaggio stia diventando un materiale di consumo, plasmato in toto dall’intervento umano.

Che tipo di programmazione vorresti strutturare? Hai in cantiere progetti che esulino dal formato di intervento artistico site specific?

La natura degli interventi sarà sempre site-specific o in alcuni casi site-responsive, quando gli artisti lavorano già su temi legati alla bio-sostenibilità e alla bio-diversità; tuttavia già con Michael Beutler la fondazione la Raia ha deciso di sostenere la produzione della sua grande installazione Boatyard, 2017, prodotta per la 57a Biennale di Venezia curata da Christine Macel, nei giardini delle Vergini all’Arsenale. Michael Beutler ha ricreato un piccolo squero, atto ad aggiustare piccole imbarcazioni, tutto in legno, sostenuto da quattro vasche d’acqua e montato a mano legando e incastrando insieme listelli di legno naturale. Come sempre l’intervento è nato da un lavoro di squadra guidato da Michael Beutler, che ha qualcosa di performativo e insieme di artigianale, reclamando all’arte contemporanea uno spazio nella nostra società industriale.

Fondazione La Raia, così come numerose cantine di vini, testimoniano una modalità alternativa di impegno nell’arte contemporanea. Credi sia auspicabile che questo tipo di realtà facciano sistema?

Numerose cantine e aziende viti-vinicole, non solo in Italia (penso a Pommery Art Experience) si occupano di arte contemporanea. Penso alla fantastica cappella di Barolo affrescata da Sol Lewitt e David Tremlett nel 1999 per i Ceretto proprio in Piemonte; al Castello di Ama con lo spettacolare intevento di Daniel Buren nel Chianti e ovviamente a Antinori Art Projects, di cui ho curato gli ultimi interventi site-specific di Giorgio Andreotta Calò, Tomás Saraceno e Stefano Arienti.
Non credo sia facile mettere questi progetti in rete ma forse pubblicare una guida all’arte nelle cantine sarebbe sicuramente un bel progetto.

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