Anna Franceschini Almanac / Torino

14 Dicembre 2018

Dove vanno gli oggetti di Anna Franceschini quando i suoi film finiscono?Cosa fanno? Mi ricordano le anatre del Central Park South di Salinger: il giovane Holden continuava a chiedersi dove andassero una volta che il lago si era gelato.
“Cartaburro” è uno “spazio-immagine” (Miriam De Rosa, Cinema e Postmedia, Postmedia Books, Milano 2013) in cui la modalità espressiva dell’istanza filmica ha definito una configurazione esperienziale. È un interno borghese, un “salotto cattivo”, un’architettura visuale che ha assunto le sembianze di un mediascape.
La mostra presentata negli spazi di Almanac – composta da tre nuovi video tenuti assieme da un comune struttura curvilinea che sostiene i monitor – è ispirata alla composita produzione di Carlo Mollino. Enigmatico intellettuale dai mille volti, Mollino è stato designer, architetto, artista, scrittore, fotografo, progettista di mobili e automobili, romanziere e ideatore di tecniche sciistiche. Attraverso alcune ricerche condotte presso i suoi archivi fotografici e progettuali, Franceschini ne studia il caleidoscopico corpus di opere: ne salva forme, atteggiamenti, atmosfere che talvolta ripensa, in un dialogo quasi irrispettoso, anti-filologico. Mollino è un pretesto, una cassetta degli attrezzi, e Franceschini gli rende omaggio nella forma più nobile: il tradimento.
Il modulo installativo del film Arabesco (2018), ad esempio, riprende il design di un tavolo progettato da Mollino alla fine degli anni Quaranta, le cui linee sono nuovamente richiamate dal vetro/display che appare nel film e che separa il nostro sguardo dal volto etereo del personaggio, intento a fumare con innaturale eleganza una sigaretta elettronica. In Devalle (2018), invece, torsi, mani e colli utilizzati per l’esposizione di gioielli vengono defunzionalizzati e inclusi in una mise en scène ispirata agli interni di Casa Devalle a Torino. Mentre i contorni di uno specchio molliniano – progettato per Casa Miller – fanno ritorno sotto forma di un tronco di donna: l’artista lo installa posteriormente allo schermo che trasmette Polaroids (2018), un film che esplora il movimento di sette capi – appartenenti al guardaroba di Milovan Farronato –, attivati da un vento incessante che li relaziona all’arredamento della camera.
Oltre ai dichiarati plagi, Franceschini condivide (già) la nuance erotica che invade gli interni e le opere fotografiche di Mollino. Si pensi all’oscillazione continua del panda-giocattolo che appare nel film What time is love? (2018), o al fumo della e-cigarette che si avviluppa dolcemente sulla superficie specchiante o ancora alla danza degli abiti di Farronato che si librano appesi ai vecchi lampadari.
È la registrazione del movimento cosale che carica le immagini filmiche di un erotismo genderless che sembra legarsi a un’armonia generale, primordiale, pre-linguistica e post-simbolica. Erotismo favorito da una confusione con la materia inanimata che porta il gesto artistico e l’agency degli oggetti sul piano di una compenetrazione felice: la determinazione di una soglia di separazione tra queste due possibilità generative è impossibile. Lo scarto decisivo di Franceschini, infatti, sta proprio nell’evitare processi anti-autoriali: l’artista non si tende delle trappole, né vaneggia sabotaggi, ma si lascia piuttosto contaminare dallo “sguardo muto delle cose”, concedendogli spazi di espressione.
La convergenza tra soggetto e oggetto è inoltre rimarcata dalla riformulazione delle tradizionali coordinate percettive indicate del suo “cinema esposto”. Il suo spettatore non è un “puro occhio”, ma uno spettatore incarnato, che si muove e si immerge in un ambiente, partecipando e raddoppiando lo slittamento simmetrico innescato dai film. In queste trame sottili è riposta la dimensione politica del lavoro di Franceschini, sicuramente non ostentata o manifesta: immagini in movimento ed esposizione la traducono in un principio di mescolanza “antropodecentrante” (Roberto Marchesini, Post-human, Bollati Boringhieri, Torino 2002), in cui la relazione con l’altro, che sia oggetto, atmosfera, boiserie a pannelli intarsiati o Carlo Mollino, non è intesa come altro-da-me, ma come altro-con-me.

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