Jac Leirner Franco Noero / Torino di

di 15 Luglio 2019

Jac Leirner mette in mostra un’attitudine, una psicosi, una tecnica, un criterio, quello di raccogliere, ordinare e collezionare oggetti apparentemente privi di un valore estetico, ormai dimentichi della loro utilità, assolutamente banali ma colti nella loro perfezione di forme, colori e dimensioni.

Per la sua prima personale italiana, nella sede di piazza Carignano della galleria Franco Noero, l’artista ha prodotto un corpo di lavori nati dal suo lento frugare tra un’enorme quantità di posaceneri, bicchieri, mascherine, tappi per le orecchie, cuffie e posate che, a partire dalla metà degli anni Ottanta, è riuscita a rubare a bordo di aerei. Gli elementi sciolti trovano nell’accumulo, e nell’uso di catene di metallo, una nuova configurazione e un’inedita unitarietà, dando luogo, insieme ad alcuni carrelli di cabina, a Corpus Delicti System (1985-2019), un’installazione composita che occupa la sala centrale della galleria. È la confessione di un crimine, quello di aver rubato, ma anche un tentativo di redenzione dal loro destino di oblio e consunzione. È una lenta azione demiurgica che dà ordine e dignità all’altrimenti fugace materialità.

Jac Leirner, Cloud, 2017. Etichette per bagagli e ottone. 87 × 136 cm. Veduta dell’installazione
presso Galleria Franco Noero, Torino, 2019. Fotografia di Sebastiano Pellion. Courtesy l’artista e Galleria Franco Noero, Torino

La volontà di tener traccia dell’effimero torna in Silver Randy’s (regular size) del 2019, una partitura di cartine di sigarette incollate a parete, perfettamente allineate in una composizione che rivela qualità pittoriche. Con la cura che richiede un rito, con il ripetersi che rende efficace un mantra, e il ritmo incosciente di una preghiera, i fragilissimi pezzi di carta si appropriano di uno spazio cui non avrebbero avuto accesso, e di una presenza che gli sarebbe stata negata. In Hardware Silk 3 (2013) una teoria di piccoli componenti di metallo, gomma e plastica – rondelle, guarnizioni, viti e moschettoni, piccoli tubi e occhielli –inanellano un cavo di acciaio che attraversa due sale. Gli elementi minimi trovano, nella tensione dell’acciaio, una possibilità di organicità e di grandezza.

Sono lavori che sfuggono a qualsiasi logica di narrazione, consacrati interamente alle loro proprietà materiali e qualità formali. Giocano con il peso, la dimensione e la misura – esplicitamente evocata dall’installazione di livelle Leveled Spirit (2017) e quella di righelli Tsipora (Bird) del 2018. Esplorano ogni possibilità, con un certo gusto dialettico, contrapponendo alla durezza e resistenza del metallo, la fragilità e leggerezza della carta, alla rigidità dei cavi, la morbidezza della stoffa e la duttilità dei tappi.

La vertigine dell’accumulo e l’ebrezza della collezione riescono a rendere visibile l’invisibile, dare omogeneità all’irregolarità e imporre un ordine al caos che incombe.

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Mariacarla Molè