Stories tell stories 1. Un giorno con Lynne Tillman di

di 29 Gennaio 2021

“Tell me stories!” è una rubrica sulla scrittura, a cura di Manuela Pacella. Uno spazio in cui testi di e su diversi autori indagano la scrittura d’arte, sperimentale, interdisciplinare, creativa e non.

The Madame Realism Complex. Edito da Semiotext(e), 1992.

Non sono riuscita a creare un ordine per il mio personaggio e a tenerlo/tenermi su una linea precisa. (Quando ho imparato a scrivere, ho scritto velocemente, non dentro le righe, solamente sotto o sopra). — Lynne Tillman.

Non aveva nessuna voglia di alzarsi dal letto, nonostante fosse già sveglia da più di un’ora. Il suo gatto, fermo all’ingresso della stanza, continuava a miagolare ostinatamente, reclamando attenzioni e cibo. Lynne Tillman richiuse gli occhi, ignorandolo, cercò di concentrarsi sulla respirazione e immaginò che le proprie sopracciglia si avvicinassero lentamente alle tempie, lasciando la fronte espandersi. Era una pratica di rilassamento che le aveva consigliato Amanda, l’insegnante di yoga che viveva nell’appartamento accanto al suo. Lynne non sapeva se l’esercizio avesse un qualche tipo di efficacia, ma le piaceva la visione. Quando riaprì gli occhi il gatto era sulla testiera del letto e la fissava ostile. Rassegnata, scostò la coperta, si alzò, prese la vestaglia e si avviò verso la cucina.

Dopo aver versato l’acqua per il tè nel bollitore, Lynne si avvicinò alla finestra attirata dalle urla di qualcuno che litigava; non vide nessuno in strada. Il cielo era nuvoloso. Al primo piano del palazzo di fronte c’era un uomo in occhiali da sole e maglietta a righe bianche e nere affacciato a fumare una sigaretta. Era incorniciato dai rami spogli di una grande pianta di glicine che dal pianoterra si arrampicava sino alla metà dell’edificio. Case e persone, le une mi fanno venire in mente le altre: entrambe hanno facciate, ma dietro la pietra e i mattoni, i sorrisi e i bronci, si celano altri aspetti, spesso nascosti2, pensò Lynne, sospettosa. Mentre osservava l’uomo fumare si ricordò del giorno in cui aveva visitato la casa e la collezione d’arte di Frederick W. Hughes, in un freddo inverno di molti anni prima. In quel periodo la stretta villetta a schiera su Lexington Avenue era completamente avviluppata, e quasi inghiottita, da una fitta maglia di rami di glicine rinsecchiti — l’imponente pianta sarebbe stata rimossa e la casa venduta solo poco tempo dopo, a seguito della scomparsa di Hughes. Lynne ripercorse mentalmente l’interno dell’edificio. Nei suoi ricordi le camere di Lexington Avenue erano ancora affollate dagli oggetti più insoliti: ritratti della famiglia reale inglese, maschere indiane, ghirlande di fiori secchi, dipinti di artisti contemporanei, costumi settecenteschi e molto altro. Se solo le cose potessero parlare3, sospirò.

The Velvet Years. Warhol’s Factory 1965-67. Volume con fotografie di Stephen Shore e testi di Lynne Tillman. Edito da Thunder’s Mouth Press, 1995.

Oltre a essere stato un avido collezionista, Frederick W. Hughes aveva lavorato per vent’anni come business manager di Andy Warhol: lo aveva aiutato, forse più di chiunque, a costruire la sua fama. Nella sua carriera di scrittrice Lynne si era occupata più di una volta di Warhol, della Factory e degli incredibili personaggi che l’avevano attraversata — aveva intervistato molti di loro per il volume The Velvet Years. Warhol’s Factory 1965-67, realizzato in collaborazione con il fotografo Stephen Shore durante la prima metà degli anni Novanta4. Quando capita che qualcuno le chieda perché sia così appassionata dell’argomento, Lynne risponde semplicemente che Warhol costituisce una parte importante del modo in cui lei ragiona. La verità è che ha sempre trovato affascinante la sua contraddittoria personalità. A parer suo le opere e i film di Warhol avevano saputo mettere in discussione non solo l’arte ma anche la vita, sfidando le convenzioni e il significato di ciò che viene comunemente considerato “vero” o “credibile” — un tema, questo, che le interessava particolarmente. In un mondo warholiano, l’autenticità è ironica, persino uno scherzo, e i “tratti naturali” sono anche più divertenti5 — aveva detto un giorno Lynne a un’amica — Nella Factory le storie reali, le biografie e talvolta anche i corpi venivano gettati alle spalle delle persone, e ne venivano prodotti di nuovi6. Ondine, Edie, lo stesso Hughes, si palesavano ai suoi occhi come auto-creazioni: erano personaggi fittizi, simili a quelli che avrebbe potuto inventare uno scrittore7 e tutto sommato non molto diversi da qualunque altro essere umano.

Lynne versò l’acqua bollente in una larga tazza dallo stile un po’ retrò, immerse nel liquido caldo una bustina di tè e fece un rapido calcolo dei giorni trascorsi senza aver scritto una singola frase. Contò quasi quattro settimane. La routine casalinga degli ultimi mesi la faceva sentire in gabbia, non riusciva a concentrarsi. D’altro canto era stata fino a quel momento una scrittrice piuttosto prolifica. Aveva pubblicato sei romanzi, sei raccolte di racconti brevi e due volumi di saggi, oltre ai frequenti contributi su riviste, antologie, cataloghi di mostre e libri d’artista. Il suo lavoro era stato apprezzato dai colleghi scrittori e dal pubblico dei lettori; molti avevano definito la sua scrittura pionieristica, innovativa, sperimentale. Questi aggettivi non hanno molto valore per lei, perché crede che la loro capacità esplicativa risulti in fin dei conti troppo labile e vaga.Come spesso ripete, piuttosto che essere descrittive, queste caratterizzazioni finiscono per essere predittive e possono segnalare aspettative, sia da parte degli scrittori che dei lettori8.

Nel suo percorso professionale Lynne aveva sempre dimostrato uno spirito libero e indipendente. Non le erano mai piaciute le rigide divisioni tra generi o le restrizioni formali. Le era capitato spesso di combinare narrativa e saggistica: aveva scritto storie in risposta a opere d’arte; aveva affidato ai protagonisti dei suoi romanzi penetranti critiche delle convenzioni sociali e delle abitudini culturali dell’epoca contemporanea. Davanti alla pagina bianca, il procedimento di creazione per lei era ogni volta il medesimo: porre delle domande e cercare di dare delle risposte (che nella maggior parte dei casi conducevano inevitabilmente ad altre domande); e, soprattutto, intavolare un confronto serrato con il linguaggio, scegliere e combinare le parole, dare loro un carattere — uno stile — e ordinarle in una struttura — una forma. Di fatto per Lynne non esisteva alcuna differenza sostanziale tra l’elaborazione di un racconto di finzione e quella di un testo basato su eventi documentati. Una volta aveva scritto: Anche le biografie e le storie ufficiali sono invenzioni che si basano sull’immaginazione e sugli interessi dell’autore, qualunque siano i fatti che supportano le conclusioni. Le interpretazioni, consapevoli o inconsce, le inclusioni e le esclusioni, alterano la nostra archiviazione dei dati. (…) In fin dei conti siamo tutti narratori inattendibili9. Ad ogni modo la narrativa conservava dal suo punto di vista un maggiore fascino e una maggiore libertà. Se i racconti sono nemici dei fatti, va detto che i fatti non sono la stessa cosa delle verità. I racconti si oppongono alle finalità, sono resistenti alla pedanteria, i loro principi morali mettono in discussione la morale10, era solita dire.

What Would Lynne Tillman Do?. Edito da Red Lemonade Press, 2014.

Le sembrava però che altri scrittori avessero bisogno di togliersi una testa e indossarne un’altra a seconda delle circostanze specifiche in cui si trovavano, ovvero, in base a quello che dovevano o volevano scrivere. Naturalmente le era capitato spesso di confrontarsi con chi la pensava diversamente da lei — c’era anche stato chi l’aveva invitata a prendere una posizione più chiara. È per questo motivo che un giorno si era decisa a scrivere un articolo per spiegare il proprio punto di vista sull’argomento. Il saggio in questione, intitolato Doing Laps Without a Pool, è stato poi ripubblicato nella raccolta What Would Lynne Tillman Do?, che riunisce numerosi testi critici da lei stilati nell’arco di venticinque anni, dal 1989 al 2014, e che fornisce al lettore un esaustivo compendio dei suoi interessi, delle sue influenze, dei suoi incontri (con persone, libri, opere d’arte), del suo acume, della sua curiosità, della sua inaspettata immaginazione e versatilità11.

In Doing Laps Without a Pool, Lynne asseriva: Sono a favore di ogni tipo di scrittura contemporanea che sia generativa, non sono a favore delle proscrizioni sulla scrittura. Non ho una posizione sicura o inamovibile, le mie nozioni sulla scrittura potrebbero includere delle contraddizioni, ne sono certa. Non voglio prendere una posizione. Non prendere posizione è una posizione, che riconosce l’incapacità di sapere qualcosa con assoluta certezza, e che dichiara: la scrittura è come la vita, ci sono molti modi per vivere, la sopravvivenza di ciascuno dipende dalla propria flessibilità. Tutto può stare sulla pagina. Che cosa non c’è adesso?12

Con la testa piena di pensieri, Lynne si diresse in soggiorno e raggiunse Basie, il suo gatto, che ora dormiva arrotolato tra i cuscini del divano. Lo aveva chiamato così in onore di Count Basie, il leggendario pianista e compositore di musica jazz statunitense — senza dubbio, il ritmo era una componente importante nella sua scrittura. Il gatto aprì un occhio, allungò una zampa per raggiungere la gamba di lei e tornò ad addormentarsi. Lynne lo guardò invidiosa, stringendo tra le mani la tazza piena di tè caldo e fumante: il tepore che emanava la confortava; il suo intenso odore era pieno di ricordi.

Beveva tè tutte le mattine, da quando aveva vent’anni. Ripensò per un istante al periodo in cui abitava a Londra, dove aveva preso quest’abitudine, e si rivide giovane che passeggiava tra le strade di quella città. Era stata una fase molto importante della sua vita, subito dopo la fine del college. Aveva deciso di lasciare New York e si era trasferita in Europa, seguendo le  orme di molti scrittori americani, come Gertrude Stein o T.S. Eliot, Ernest Hemingway o Edith Wharton, che all’inizio del XX secolo avevano attraversato l’oceano in cerca di un posto dove poter scrivere. Aveva viaggiato tra Londra, Amsterdam e altre città; si era occupata di cinema13, aveva letto moltissimo e scritto in segreto. In quegli anni si era imbattuta per la prima volta nel lavoro di Jane Bowles, che sarebbe diventata un fondamentale riferimento per lei — come ha dichiarato più volte, precedendola con la sua scrittura ironica, tragica e selvaggia, Jane Bowles l’aveva autorizzata a raccontare storie di ragazze e di donne in uno stile completamente nuovo14.

Lynne era tornata in America a metà degli anni Settanta. In quel momento la scena newyorkese era animata da un incredibile fermento culturale e lei vi si era immersa senza esitazione15. Nel 1976 era stata invitata dall’artista Susan Hiller e dallo scrittore David Coxhead a presentare un contributo per la rivista Wallpaper: era la prima volta che qualcuno le commissionava un lavoro per una pubblicazione. Aveva scritto una storia, l’aveva inserita nel menù di un vecchio ristorante di New York e l’aveva intitolata Myself as a Menu16. Qualche anno dopo aveva pubblicato la sua prima serie di racconti, Weird Fucks, sulle pagine della fanzine Bikini Girl17. Questi testi rivelavano già molti dei tratti che avrebbero contraddistinto la sua scrittura negli anni successivi: l’attenzione per i personaggi femminili, l’ironia pungente e brillante, l’attitudine psicologica della narrazione, la sfida alle convenzioni del racconto realistico, la messa in scena di situazioni a tratti ambigue o paradossali.

Mentre vagava tra i ricordi, il tè si era raffreddato. Lynne finì velocemente di berlo, si alzò e si diresse verso lo studio con l’intenzione di mettersi a lavorare al computer per un paio d’ore. Doveva rispondere alle email arretrate e preparare una lezione per i suoi studenti del corso di Art Writing18. Ma quando si trovò davanti allo schermo si sentiva nervosa e piuttosto malinconica. Le sembrava che il passato le tendesse agguati in ogni angolo della casa quel giorno. Non le piaceva affatto la nostalgia, perciò decise di fare due passi per distrarsi.

Men and Apparitions. Edito da
Soft Skull, 2018.

Andò in bagno per fare una doccia e accese la radio, sintonizzata sulla solita stazione. Lo speaker stava leggendo le prime pagine del libro Gli Argonauti di Maggie Nelson. Alzò il volume, aprì l’acqua calda e la lasciò scorrere, aspettando che la stanza si riscaldasse. Si stava insaponando i capelli quando la voce in radio raggiunse il passaggio in cui Nelson racconta di una tazza per il caffè regalatale dalla madre — una tazza decorata con una foto raffigurante Nelson stessa, incinta, insieme al marito Harry Dodge e al figlio di lui, vicini e in posa davanti a un caminetto addobbato per il Natal19. Lynne provò a visualizzare l’immagine e sorrise pensando che se Hezekiel H. Stark l’avesse vista, si sarebbe di certo lanciato in una minuziosa analisi della scena. Hezekiel, anche detto Zeke, era un etnografo trentottenne esperto di foto di famiglia nonché il protagonista del suo ultimo romanzo, Men and Apparitions. Lynne aveva lavorato per diversi anni al libro, raccogliendo appunti e facendo ricerche, inizialmente interessata a capire cosa significhi dire che viviamo in una realtà sommersa di immagini. Ne era risultata una complessa analisi della società contemporanea, che veniva riferita dalla voce e dal punto di vista di Zeke. Ma oltre a parlare di fotografia, di arte e di cultura, attraverso le esperienze personali e le speculazioni teoriche dell’etnografo, il testo presentava acute considerazioni sulle relazioni umane e sull’identità, sulla rappresentazione dei ruoli di genere e sui modelli di mascolinità del presente. Fino a che punto le persone possono allontanarsi dalle strutture che le hanno rese “quello che sono”?20, si chiede Zeke nel romanzo.

Lynne si asciugò i capelli, si vestì velocemente e uscì di casa, mentre il suo gatto ancora dormiva. All’esterno le strade erano quasi deserte e si respirava un’aria da neve. Camminò a lungo, senza una meta precisa, sbirciando di tanto in tanto nelle finestre delle case in cui vedeva una luce accesa. Era tremendamente annoiata dalla solitudine dell’ultimo periodo. Le sarebbe piaciuto partire, andare in un luogo sconosciuto, lontano da casa sua, ma sapeva che non avrebbe potuto farlo finché la situazione del paese non fosse migliorata. Ripensò alle molte occasioni in cui aveva viaggiato attraverso gli Stati Uniti e l’Europa insieme a Madame Realism — le sembrava fosse passato un secolo. Si rese conto che, tra i personaggi che aveva creato, Madame Realism era senza dubbio quello con cui aveva condiviso il maggior numero di esperienze. Era comparsa per caso, in un racconto breve che Lynne aveva scritto all’inizio degli anni Ottanta; la sua amica Kiki Smith lo aveva letto con entusiasmo e aveva deciso di realizzare dei disegni in risposta alla storia. È stata la prima volta in cui Kiki ha disegnato lo sperma21, si ricordò. Dopo tre anni, nel 1986, Madame Realism si era ripresentata per rispondere a una chiamata di Craig Owens, al tempo senior editor della rivista Art in America.

Craig e Lynne si erano conosciuti tramite Barbara Kruger qualche anno prima. In quel periodo Craig stava attraversando un momento di radicale messa in discussione del proprio percorso professionale. Dopo essersi allontanato dalla rivista October, dove aveva militato al fianco di figure come Rosalind Krauss, si era trovato a riflettere a lungo sul ruolo e sul potere esercitato dalla critica d’arte e sul significato della storia dell’arte intesa come flusso unitario, progressivo e universale. Negli ultimi saggi che aveva scritto, aveva provato a posizionare la propria voce diversamente, in modo che non suonasse più come un’impersonale e storica voce dell’autorità22. Pensava infatti che la critica potesse diventare un’attività parallela e non dominante rispetto a quella artistica — finalizzata cioè a espandere e far risuonare il significato delle opere d’arte, senza incasellarlo rigidamente. Era per questo motivo che aveva deciso di coinvolgere in Art in America autori e autrici capaci di esprimere stili e sguardi diversi da quello accademico23.

Quando era stata invitata da Craig a scrivere un pezzo sulla retrospettiva di Renoir che quell’anno si teneva a Boston, Lynne si era fatta molte domande. Era consapevole di non essere una critica o una storica dell’arte, e voleva rimanere fedele a se stessa. Alla fine decise di rispondere facendo quello che sapeva fare meglio: scrivere storie. Riportò in vita Madame Realism e la inviò a visitare la mostra. La scelta si rivelò incredibilmente efficace, tanto che, dopo quella prima volta, Lynne ha continuato per oltre vent’anni a scrivere racconti ispirati alle peripezie di Madame Realism — non solo per Art in America, ma anche su cataloghi di mostre o libri d’artista. Nel 2016 Semiotext(e) ha riunito tutte queste storie, e le ha pubblicate, insieme ad altre, nel volume The Complete Madame Realism and Other Stories24.

È importante chiarire che Madame Realism non ha mai rappresentato l’alter ego di Lynne; come tutti i personaggi di fantasia anche lei rivendica un proprio carattere e una propria presenza, per quanto cangiante e imprevedibile: si è spesso presentata avvolta in atmosfere oniriche, ha espresso pensieri graffianti e tuttavia non di rado ha finito per ritrovarsi in situazioni decisamente comiche. In circostanze differenti lei era differenti cose, e per persone diverse era diverse persone. La realtà era una decisione che non prendeva da sola25, aveva scritto Lynne. Quando interagiva con l’arte o con l’ambiente che la circondava, Madame Realism non ragionava mai in termini di gusto, non dava giudizi di valore, non parafrasava; piuttosto, era interessata a portare in luce le molteplici implicazioni di ciò che osservava e di quello che le capitava, perché per lei ogni oggetto, ogni discussione, ogni situazione costituiva prima di tutto un fatto sociale. Si poneva spesso domande sul potere e sul funzionamento della rappresentazione e metteva costantemente in discussione le opinioni che lei stessa esprimeva. Dubitare era una sua peculiarità. Il dubbio ci priva di sicurezza, ma al contempo solleva possibilità26, disse seria Lynne tra sé e sé.

Stava pensando alla volta in cui Madame Realism si era trasformata in un catalogo27, quando realizzò di trovarsi ormai lontano da casa. Iniziava ad avere fame e sentiva i piedi congelarsi, perciò decise di rientrare. Era solo metà pomeriggio, ma sembrava già sera; le nuvole non si erano mai diradate durante l’intera giornata. Con ogni probabilità non sarebbe riuscita a vedere la luna piena di quella notte.

The Complete Madame Realism and Other Stories. Edito da
Semiotext(e), 2016.

Quando arrivò davanti casa, iniziò a nevicare debolmente. Lynne rimase a osservare per qualche minuto i piccoli fiocchi di neve, mentre rifletteva su alcuni passaggi di una recensione di Men and Apparitions pubblicata il giorno prima da una rivista online. Le era sempre piaciuto leggere quello che gli altri scrivevano su di lei. Non si trattava di vanità; Lynne era sinceramente affascinata dai modi in cui le altre persone recepivano e raccontavano i suoi libri e la sua scrittura. I loro testi erano come storie, di cui lei era la protagonista (anche se alcuni articoli erano più simili a storie di altri).

Stava salendo le scale che conducevano al portone, quando le tornò in mente una buffa giornalista che molti anni addietro aveva recensito il suo primo romanzo, Haunted Houses, fraintendendo la citazione di Kathy Acker riportata sul retro della copertina del libro, che iniziava dicendo: “Lynne Tillman, figlia di Jane Bowles”. La giornalista aveva inaspettatamente scritto: “nel libro l’autrice ha menzionato sua madre, Jane Bowles”. L’episodio era stato esilarante. Lynne non aveva immaginato che qualcuno avrebbe potuto travisare quella frase, anche perché Jane Bowles non aveva mai avuto figli! Kathy Acker ha plagiato testi, ha scritto di personaggi che si inventavano identità multiple, ha invocato “sua” madre e “suo” padre; nessuno sapeva cosa fosse attendibile e cosa no. Era stato ironicamente appropriato che mi avesse donato, senza volerlo, una leggenda, una genealogia letteraria fittizia28, pensò Lynne, e sorrise di cuore. In una giornata che fino a quel momento le era sembrata così nervosamente vuota, quel ricordo la fece sentire più allegra.

Altri articoli di

Marta Federici