“Genesi”, prima personale di Tommaso Gatti, è la mostra scelta da MASSIMO per inaugurarne lo spazio espositivo, in via Degli Scipioni 7, a Milano. La mostra prende il titolo dal capitolo introduttivo di Aparición, libro la cui scrittura impegna l’artista dal 2019. Tutto, a partire dall’etimologia della parola, sembra evocare l’idea di un principio: con Genesi, oltre alla programmazione di MASSIMO, prende avvio un più ampio progetto che prevede la realizzazione di una serie di eventi espositivi legati ciascuno a un diverso capitolo del libro.
Aparición racconta di un allievo e del suo maestro. Il primo capitolo, fulcro concettuale attorno cui ruota la mostra, ne rievoca il loro incontro a un vernissage. La voce narrante introduce lo spettatore alla figura di Sebastian Shatten, critico d’arte e personaggio d’invenzione dietro i cui gesti e le parole trapela il pensiero dell’artista. Tra i temi di cui Sebastian dibatte, l’eredità critica di Félix González- Torres, il gioco in quanto metafora dell’opera d’arte, e la natura poietica dell’esperienza artistica. Nel commemorare una mostra immaginata l’artista ne evoca l’atmosfera, invitandoci a gettare uno sguardo sulla cornice, al tempo sacra e mondana, all’interno del quale l’arte è oggigiorno fruita.
In occasione di “Genesi”, Tommaso Gatti coinvolge alcuni artisti alla realizzazione di una mostra complessa che si muove parallelamente su differenti canali. L’artista intende infatti rivendicare l’inscindibilità dell’evento espositivo dal proprio apparato promozionale, concependo parte della mostra esclusivamente per i canali social di MASSIMO. Gli scatti della serie “The opening” (2020) sono realizzati in collaborazione con il fotografo di moda Giuseppe Triscari e lo stylist Sebastian Palomares, chiamati a illustrare il racconto. Le fotografie, un ibrido fra staged photography e fashion photography, sono state realizzate in occasione di uno shooting in cui alcune comparse hanno inscenato l’inaugurazione della mostra, atteggiandosi in pose che attingono a un campionario gestuale da vernissage, e rappresentando di fatto gli unici invitati a un evento esclusivo, i primi inconsapevoli fruitori di ciò che la mostra è. Il gusto patinato delle fotografie contrasta in maniera volutamente stridente con l’essenzialità dell’esposizione, composta dal primo capitolo del libro trascritto a mano su una parete in cartongesso che, interferendo con il bianco asettico dello spazio, se ne appropria assorbendolo nella sua stessa struttura. Il testo diviene così segno permanente di un interstizio temporale destinato a vivere, in forma latente, nel luogo per cui è stato pensato.