Francesco Vezzoli, “Palcoscenici Archeologici” Fondazione Brescia Musei di

di 7 Settembre 2021

C’è un’opera di Giorgio De Chirico che, meglio di altre, condensa iconograficamente il gesto di recupero della classicità in epoca moderna. Si tratta de Gli Archeologi (1927 ca), i cui protagonisti sono di fatto un archetipo ricorrente nell’immaginario metafisico dell’artista: figure stilizzate, sole o in coppia, che ingoiano nelle loro fattezze di manichini contemporanei una sintesi di elementi architettonici classici (busti, plinti, colonne, capitelli). L’atto, allora dirompente, di recuperare il mondo antico in un’epoca immediatamente precedente all’arrivo delle grandi dittature del Novecento (che avrebbero riletto quello stesso mondo in una modalità distorta e manipolatoria) fa di De Chirico una figura imprescindibile per tematizzare il rapporto tra archeologia e contemporaneità. Ed è in questo senso che la sua è una presenza chiave per l’ambizioso progetto realizzato da Francesco Vezzoli per Fondazione Brescia Musei, presso il sito archeologico della città – il più importante a nord di Roma per l’eccezionale conservazione delle vestigia romane: una serie di interventi artistico-curatoriali che attivano un dialogo perfettamente riuscito tra otto opere scultoree e il sito stesso. L’omaggio al passato classico, del resto, è uno dei principali cardini dell’opera di Vezzoli negli ultimi anni. Non si tratta di uno sguardo passivo o nostalgico, ma al contrario di una presa di coscienza del ruolo di riferimento che le radici culturali svolgono in un dibattito artistico contemporaneo talvolta incerto, che merita di essere affrontato con strumenti di lettura consolidati. Nelle sculture classiche (originali o rielaborate) dell’artista, si crea un costante slittamento di piani temporali e iconografici: un gioco di sovrapposizioni che rende le sue figure dei misfits (uno dei pochi casi in cui l’etimologia inglese è più raffinata ed esplicativa di quella italiana) – dei non-adattati, delle figure di fatto ‘spostate’ rispetto al contesto in cui vengono collocate. Perché in loro la classicità convive, più o meno pacificamente, con la cultura moderna o strettamente contemporanea.

I volti nei ritratti dell’imperatore Adriano (Lo sguardo di Adriano, 2018) e dell’eroe omerico Achille (Achille!, 2021) sono truccati con colori pop; o ancora la scelta di un soggetto come Kim Kardashian, collocata in una delle splendide domus dell’Ortiglia, testimonia la voglia di raccontare le icone glam del nostro tempo rileggendole storicamente (in questo caso, la scultura è un pastiche tra preistoria ed epoca romana, giocato sulle forme del corpo della diva contemporanea che ci riportano alle veneri paleolitiche). Il pastiche tra epoche diverse riguarda anche la stessa storia dell’arte: l’omaggio a De Chirico, innanzitutto concettuale, si fa esplicitamente iconografico nella Nike Metafisica (2019), collocata ai piedi della scalinata dell’imponente tempio capitolino. O ancora nel Ritratto di Sophia Loren come musa dell’antichità (da Giorgio de Chirico), del 2011, collocata nella grande area della cavea del teatro antico. Così come Constantin Brâncuși è citato attraverso una delle sue iconiche teste in bronzo testa in God is a Woman (2019).
Ogni scultura è installata su un particolare plinto in legno o metallo verniciati, ideato per l’occasione dall’artista Filippo Bisagni – che ha seguito l’intero allestimento della mostra. Si tratta di supporti temporanei concepiti per valorizzare le opere di Vezzoli, ma al tempo stesso metterle in un dialogo ancora più stringente con il contesto allestitivo: si attiva infatti un’operazione fortemente site-specific, basata soprattutto sulla scelta dei colori (spesso accesi, pop) e delle forme. Un esempio significativo è quello del supporto alla Nike, la cui bi-cromia richiama quella dei marmi del capitolium retrostante. O ancora, il plinto che sorregge Sophia Loren, alto quanto la scultura stessa e ispirato a un’architettura milanese di Aldo Rossi, richiama nella forma il tetto spiovente di un edificio circostante. In questo modo i ‘Palcoscenici Archeologici’ offrono al visitatore un percorso realmente stratificato e complesso – fruibile a vari livelli di lettura.

Altri articoli di

Barbara Meneghel