“Attraverso la società la moda comunica ciò che pensa del mondo”, questo uno dei tanti passaggi de Il senso della modadi Roland Barthes. Parlare di marchi o di trend, di pieghe o di volumi non è da persone superficiali: forse bisogna sempre ricordarlo.
Era così, da tempo, che volevo scrivere su un’esperienza come questa di cui vi parlerò. Il ritardo nel farlo è dovuto ad una curiosa sensazione di permanenza, un sentimento che mi ha portato spesso a commuovermi mentre scrivevo una meta recensione.
Non sono una giornalista, strano detto da un direttore ed editore, ma non mi riconosco in quel titolo. E nemmeno una esperta codificata di moda. E così quando ho la fortuna di provare emozioni come quelle della sfilata di Valentino Haute Couture F/W 2021-22 Des Ateliers divento ancora più ruminante e passo giorni chiusa a riflettere sul messaggio, su quello che ho visto. Si iniettano le immagini nel mio vissuto.
La moda non è arte, ma l’arte è un linguaggio, come la moda, dice Pierpaolo, con una lucidità che mi ricorda Barthes. Così sceglie, con l’aiuto del curatore Gianluigi Ricuperati, un dialogo aperto e spontaneo con 16+1 artisti, prevalentemente pittori. A memoria storica: Joel S. Allen, Anastasia Bay, Benni Bosetto, Katrin Bremermann, Guglielmo Castelli, Maurizio Cilli, Danilo Correale, Luca Coser, Jamie Nares, Francis Offman, Andrea Respino, Wu Rui, Sofia Silva, Alessandro Teoldi, Patricia Treib, Malte Zenses e Kerstin Brätsch.
Un dialogo che non devia la visione dell’artista, (e qui PP è straordinario), né la creazione haute couture, (e qui è un genio contemporaneo), ma entra nelle viscere di entrambi i mondi, che si estendono oltre la loro stessa superficie (tela, tessuto, superficie), oltre il corpo, diventando fluido messaggio di inclusività. Entrambi materiali, che aprono una lettura più profonda tra i due ‘ateliers’, dove si indaga sulla storia raccontata da ogni artista e la narrazione della bellezza attraverso i codici della moda. Ed ecco la connessione con 82 pezzi che nascono attraverso questa narrazione, oltre ai capi più liberi di Piccioli. 82 sculture (che brutto termine, ok) ma soggetti di emozione, che si muovono su una passerella sospesa nella millenaria Venezia.
I dipinti strabordano dalle balze, dagli chiffon, dai volumi, straripano attraverso i tessuti che prendono un nuovo percorso e significato. Si insinuano dentro ai corpi, entrano negli sguardi degli spettatori.
E qui arriviamo a noi, il pubblico: tutti vestiti di bianco, eterei (per tentativi), chi più chi meno (il velluto e il trasparente erano pura trasgressione per chi ci ha provato) seduti a distanza Covid, su cubi in resina. Due rettangoli speculari formano la passerella a Le Gaggiandre dell’Arsenale di Venezia. Strutture essenziali galleggianti dove, in un silenzio assordante compare Cosima, cantante britannica dal range vocale-killer, (Sade e Tracy Chapman oggi, ma di più), che intona cover come Nothing Compares 2 U.
Modelle e modelli, (i soggetti che muovono le emozioni di PP) scivolano con colori, e poi altri colori, a colori che sono volumi, e volumi che sono I brividi che riprovo adesso mentre lo scrivo. Opere d’arte esplicite, altre meno, tutte PP. Ognuno porta un messaggio, forza e fragilità, libertà ed indipendenza.
Comincio a commuovermi per il connubio live performance – splendore visivo, mi viene il pianto facile in gravidanza. Un po’ troppo. Siamo in due che guardano e sentono, ed uno dei due, io, è anche il meno forte.
Sul grande finale, Cosima chiude con What the World Needs Now Is Love che mi trova nuovamente impreparata sul piano emotivo. Des Ateliers diventa una seduta psicologica, dove comincio a pormi domande sui valori della società di oggi: integrità, costanza, e come sempre, al centro, centro, c’è il tema dell’amore. Amore. Sì, quello che ho io dentro, quello che vedo fuori. Viviamo da diciotto mesi sospesi, molti di noi alla giornata, in uno stato di inevitabile incertezza ancor più incerta mentre molti altri (quasi tutti) non se lo possono nemmeno permettere, ma tutti, spero, continuiamo a scommettere sull’amore. Sarà perché ero già al quarto mese di gravidanza, sarà perché la voce di Cosima con questi pezzi eterni mi hanno fatto entrare in una dimensione di accettazione verso il prossimo e empatia completa, ad un tratto non ero più ad una sfilata ma sentivo di appartenere ad un gruppo di persone con ideali e pensieri comuni. Come alla cena in onore di Zendaya e al cast di Dune agli inizi di Settembre, con le finestre dell’Harry’s sulla laguna, organizzata da Valentino. Al tavolo con i suoi amici più stretti abbiamo percepito un’idea di casa–famiglia, di quella che è una vera Maison, nel senso letterale. E così sono stata rassicurata dalle mie emozioni di luglio. Valentino costruisce vestiti di emozioni, che comunicano ciò che pensa del mondo.
Una posizione definita, lucida, che si fa con i vestiti come con le parole. E su questo Pierpaolo dalla sua Nettuno, alle porte di Roma, è arrivato nella lista delle 100 persone più influenti del Time nel 2019. Non per i vestiti belli o brutti ma per quello che portano dentro e fuori. Quello che ci dicono della società. Del resto è un uomo di un altro pianeta! Perchè i suoi vestiti sono parole. Le parole sono i vestiti della nostra mente. Le parole sono pietre, diceva qualcuno, perchè sono messaggi potentissimi. In ogni epoca. E così basta, anche perchè questo è solo un grazie. Questa è una lettera di ringraziamento, decisamente non una recensione, non certo un articolo di moda anche se è una idea che abbiamo della moda e di quello che dovrebbe essere. E forse di come la moda potrebbe essere raccontata. Ma qui torniamo ad emozionarci. Alla prossima dear Roland Barthes, ti faccio sapere cosa succede quaggiù.