Imponenti pareti di acciaio galvanizzato con un rigoroso motivo geometrico alterano la disposizione simmetrica degli spazi espositivi della galleria, creando atri di dimensioni diverse. La ritmica articolazione delle aperture quadrate, incorniciate dal metallo algido, allude a una serie di archetipi architettonici che spaziano dalle grate dei conventi di clausura alle palizzate delle fortezze medievali, dal tassellamento dell’arte islamica alla sobrietà rigorosa dell’architettura razionalista. Queste recinzioni metalliche regolari creano un’atmosfera stilizzata e distaccata che a prima vista sembra dominare l’istallazione. Pattern e motivi a griglia, un’ossessione ricorrente nel lavoro di Hamilton, ritornano anche nelle singole opere. Una versione obliqua del tartan Hamilton, che rimanda al cognome dell’artista, diventa il leitmotiv dell’atrio destro. Blasians (The Flavour of Green Tea over Rice), una carta da parati vinilica fluorescente, riproduce un fermo immagine dal capolavoro cinematografico del 1952 di Yasujrō Ozu, Il sapore del riso al tè verde. L’immagine invertita che ritrae quattro donne in kimono s’intreccia al motivo del tartan, che ritorna anche nel tappeto che copre il pavimento. Nello stesso ambiente, appuntate al Metal Wave Kimono, placche quadrate di acciaio inossidabile levigato a cerchi rendono omaggio sia alle griglie dei disegni della pittrice americana Agnes Martin, sia al motivo giapponese seigaha, un disegno geometrico di cerchi concentrici sovrapposti che rappresenta le onde dell’oceano.
Se da un lato l’apparente neutralità di sistemi e motivi regolari rappresenta una specie di hortus conclusus contemplativo, al tempo stesso la sua metodica unità stilistica si presta a essere sovvertita da giocose giustapposizioni e associazioni inattese. Accesa ogni mattino, la fragranza di un incenso pervade lo spazio espositivo. Incense (Search Mi Heart), nata dalla collaborazione tra l’artista e il designer olfattivo Ezra-Lloyd Jackson, rilascia aromi di mentolo e ambrato legnoso che, attivando il nervo trigemino, suggeriscono al nostro sistema nervoso una sensazione di freddo compensata da una delicata dolcezza. L’incenso, fissato su rami sinuosi che sporgono dalle pareti di metallo, crea una cornice aromatica per la mostra mentre il fumo smussa la spigolosità dei materiali e degli elementi architettonici.
Allo stesso modo, esemplari vegetali e corpi umani si alternano negli spazi espositivi con la loro sensuale morbidezza. La lunga fascinazione di Hamilton per le qualità estetiche degli ortaggi si evidenzia negli oggetti di vetro soffiato realizzati a mano, come Cold Heart Squash. Realizzata dall’artista in collaborazione con LOEWE e ricoperta da una pallida pelle, la Giant Pumpkin Nr. 3 si adagia voluttuosamente sul pavimento. La sovrabbondante carnalità del frutto maturo e il fascino tattile della sua morbida superficie evocano un corpo umano nudo, giocando esplicitamente con l’ambiguità erotizzata dei gambi e delle cavità della zucca. Concetto esplorato ulteriormente in Project for a Door (SculptureCenter), un’opera ispirata alla proposta di Gaetano Pesce per l’ingresso di un grattacielo di Manhattan. Rappresentazione di un uomo che allarga le proprie natiche, il progetto non è mai stato realizzato ma Hamilton lo ha rivisitato per la propria personale allo SculptureCenter di New York che le è valsa la candidatura al Turner Prize del 2016. Nell’attuale versione milanese emergono dal muro solo alcune parti – una singola natica e alcune dita. Nello stesso spazio, un tappeto raffigurante una schiena maschile nuda in uno scatto in bianco e nero, realizzato da Hamilton con Lewis Ronald e Jonathon Luke Baker, è permeato dell’estetica della fotografia di moda.
La tensione tra sguardo soggettivo e oggetto è approfondita in Sleeping Kimono, installata su un pavimento di pietra basaltica grigia. Un raso di seta il cui taglio a T allude all’iconico vestito giapponese è adagiato su una gomma sintetica poggiata a sua volta su una serie di cilindri di cemento. Sul tessuto sono stampate fotografie sfocate, immagini che si basano sulla documentazione che Leni Riefenstahl realizzò nel 1973 sul popolo Nuba, gli abitanti indigeni della parte centrale del Sudan. I cilindri sotto la stoffa evocano una forma o una sagoma – forse costole umane, o remi di una barca – nascosta al nostro sguardo. Questo espediente distorce ulteriormente l’immagine – non solo la stampa, ma l’oggetto stesso.