L’artista Binta Diaw resenta per la prima volta negli spazi di Prometeo Gallery Ida Pisani la mostra personale “La plage noire”, una riflessione sul tema della libertà, non assoluta e individuale, ma intesa come relazionale, strettamente legata al concetto di emancipazione, al centro della sua produzione degli ultimi cinque anni. Diaw materializza questa complessa riflessione attraverso la figura della mangrovia, il cui intrico fu storicamente un rifugio marron, nuovo luogo di socialità e di ricomposizione politica.
L’estetica e la fisicità della mangrovia, la sua doppia forma di vita sospesa e radicata tra acqua e aria e la sua capacità di evoluzione pluridirezionale sono fonte di ispirazione per la riflessione plastica dell’artista e punto di partenza per la creazione delle sue installazioni.
Le mangrovie, realizzate da Binta Diaw con capelli sintetici, fluttuano leggere in bassi bacini d’acqua stagnante e riprendono, rilanciandole, le riflessioni affrontate in installazioni precedenti, come Dïàspora (del 2021), che rintracciava i viaggi delle donne africane in diaspora criptati negli intrecci delle loro acconciature, Uati’s Wisdom (del 2020), in cui intrecci di capelli creavano architetture simboliche, o Black Powerless (iniziata nel 2017 e ancora in progress), riflessione sulla censura di corpi postcoloniali nel loro legittimo desiderio di cittadinanza e di coabitazione in Italia.
La spiaggia di mangrovie esposta in questa personale è una riflessione sulla possibilità di essere radicati nonostante il movimento, o meglio, grazie ad esso. La mangrovia infatti è un’entità radicante, che cresce a latitudini marginali, che rifiuta l’idea di radice unica, a vantaggio di una territorializzazione dinamica, sistemica e multi-potenziale. La crescita simbiotica delle mangrovie è per l’artista l’architettura di una collettività d’alleanza che procede sempre insieme.
Come nel romanzo di Rivers Solomon The Deep, viene celebrato un mondo sottomarino nato dagli eredi e dalle eredi delle donne incinte gettate nell’Atlantico dalle navi schiaviste, così Binta Diaw celebra quel mondo sotto e sovramarino reso possibile dalla morfologia di queste piante straordinarie, che replicano le lunghe radici nella struttura specchiante dei rami protesi verso il cielo.