A partire dagli anni Novanta, Eva & Franco Mattes hanno indagato a fondo Internet e il suo impatto nella vita reale, realizzando un provocatorio corpus di lavori che copre l’intera gamma dalla realtà virtuale alla scultura. In un ritorno a casa da tempo auspicato, la coppia presenta la prima personale italiana da FMAV con una serie di lavori di recente realizzazione (2016 – 2022), selezionati da un misterioso algoritmo.
La cultura di Internet è condizionata da processi che avvengono lontano dai nostri occhi. L’economia dell’attenzione, basata su “like” e “visualizzazioni”, cela il nostro stato di alienazione dal funzionamento interno del web e dal suo impatto sulla vita quotidiana: la progettazione della User Experience incoraggia un rapporto semplificato con il sistema, creando una zona liminale in cui si incrociano realtà, fantasia e potere. Inoltre, il flusso dei “contenuti” elimina il contesto: le condizioni su cui si fondano la creazione delle immagini, i fattori che ne influenzano la visibilità, i sistemi di circolazione e altro ancora. Eva & Franco Mattes. Most to Least Viewed esplora questa tensione, sondando il rapporto tra ciò che viene mostrato e ciò che rimane nascosto.
Disposti in sequenza dal “più visto al meno visto”, i lavori in mostra rispecchiano la presenza dell’opera degli artisti sui social media e sul web negli ultimi dodici mesi. Che i lavori funzionino appare chiaro, ma il perché resta avvolto nel mistero. Perché sono apprezzati o visualizzati? Tematizzando l’impossibilità di rispondere a questa domanda, e al tempo stesso presentando i risultati di un oscuro procedimento tecnico, gli artisti alludono al ruolo di forze curatoriali aliene in gioco nel più ampio contesto delle nostre vite.
Monumento Connettivo (2022) è ispirato in parte all’idea architettonica utopistica di Monumento Continuo (1969) del collettivo italiano Superstudio, messa in relazione con il mondo di internet e della visibilità online. L’installazione Untitled (Yellow Trail), (2021) gestisce tutta l’elettricità e i dati utilizzati nella mostra. Come un recinto o un labirinto, orienta gli spostamenti dei visitatori, offrendo un analogo scultoreo dell’influenza biopolitica esercitata dalle infrastrutture tecnologiche; “riprogramma” il movimento e rispecchia quella che gli artisti chiamano “l’assimilazione delle operazioni di Internet nella vita quotidiana”.
The Bots (2020) è fatto di racconti autentici, e usa il linguaggio dei “dipendenti fantasma” che i social media tengono nascosti. I video di questa serie, realizzati in collaborazione con il giornalista Adrian Chen, sono basati sulle confessioni dei moderatori dei contenuti di Facebook e prendono in prestito l’estetica dei finti tutorial di make-up, usati a volte sui social per aggirare la censura. Parlando ai loro smartphone dalle loro case, gli attori interpretano versioni delle interviste in cui la fatua leggerezza dell’esibizione per i propri follower si combina con l’orrore quotidiano dell’odio online. In ognuno dei casi, il discorso serio — che tratta argomenti come la violenza, l’abuso sessuale, le espressioni di intolleranza e il terrorismo — è costantemente interrotto da consigli di bellezza. Ogni video è installato sul retro di una scrivania personalizzata della stessa marca usata nel centro di moderazione berlinese di Facebook, dove lavoravano gli intervistati.
Circuits (2022) dialoga con Monumento Connettivo e mette in mostra le immagini contemporanee nella loro forma più comune. L’opera rimanda alla differenza percettiva tra immagine/i e realtà, offrendo alla prima un corpo. Untitled (Server) (2022) è composto da un server connesso con la rete aperta, che non ha output o monitor visibili, e dunque l’espressione del lavoro fatto di dati si limita a luci intermittenti e al rumore della ventola del server. Al tempo stesso, questo lavoro è diffuso in tanti punti di una rete. Il contenuto (a differenza del contenitore) si offre ad una fruizione attiva da parte del pubblico ed è accessibile a coloro che condividono attivamente il materiale con altri attraverso i torrent. È un lavoro situato in un network.
What Has Been Seen (2017) è ispirato al detto “What has been seen, cannot be unseen” (Impossibile dimenticare quello che si è visto), che ricorre spesso nella cultura dei meme, e di solito allude alle reazioni degli spettatori a contenuti sorprendenti o disturbanti. Infine, Abuse Standards Violations (2016) è composta da una serie di pannelli isolanti da parete, con sopra stampate le linee guida aziendali che sono state rivelate agli artisti nel corso delle loro indagini sulla moderazione dei contenuti del web. Le linee guida, ignote per garantire l’anonimato, si riferiscono alle immagini che i moderatori devono classificare, in genere allo scopo di rimuoverle. Spesso i moderatori non sanno nemmeno chi sia il loro datore di lavoro. Uno di loro ha detto ai Mattes: “Sono quasi sicuro di lavorare per Google.”