Per Piacentino il colore vuol dire percezione di un elemento altrettanto autonomo, fisico, concreto, quanto Ie dimensioni e le forme.
Nessun significato metafisico o simbolico, nessun colore privilegiato: egli tiene a sottolineare I’uso del colore come qualità della materia, la sua scelta in rapporto alla posizione e alla dimensione dell’oggetto, per cui ad una maggiore elaborazione formale corrisponde una minore cromaticità, o viceversa, e ad una data esposizione di una superficie, con la luce e i suoi riflessi, s’accompagna un certo colore fanno parte di un preciso atteggiamento mentale.
Morris, ribadendo che la scultura si basa su decisioni essenzialmente fisiche, si nega I’uso del colore perché questo sottolinea I’aspetto ottico a scapito di quello fisico, dello stesso peso; Piacentino accentua e sistematizza questo uso in funzione anti-idealista e anti-purista, e sottolinea I’aspetto ottico-cromatico della sua opera (dove l’obece è un mero supporto della superficie, e la superficie levigata, stuccata e seppiata è un neutro supporto di colori) proprio come contraltare fisico all’ambiguità tra oggetto astratto e oggetto concreto, immagine mentale e immagine reale, che questi “mobili” mantengono in tensione.
Piacentino dà luogo a un continuo sospetto, costruisce pali, tavoli, infissi, specchiere e altre strutture tipo “design” che non sono tali, perché prive dei caratteri di utilitarismo e funzionalità, non solo, ma soprattutto perchè tendono a negare il loro status di oggetto.
– Tommaso Trini, LA PERCEZIONE DEL SOSPETTO, 1968