“To power be sour” è l’enunciato che origina il flusso di idee che compone il grande tappeto-manifesto di lana Salty Sermon (2020), diagramma antropomorfo di Slavs and Tatars e opera che dà il titolo alla prima mostra personale del collettivo euroasiatico presso eastcontemporary, a cura di Zoë De Luca Legge. In questo schema, l’ordine logico del discorso viene messo in questione: il sistema rappresentato pare non voler concepire la formulazione delle idee come un fenomeno matematico e consequenziale, quanto piuttosto una questione fisica, organica e sociale. L’aspro al potere, ovvero una modalità di lettura che fonda le sue radici attraverso un processo di decomposizione controllato: la fermentazione. In questo paradigma è il linguaggio a dare forma al soggetto parlante, una vera e propria modalità con cui concepire la realtà delle cose, gli spazi che ci circondano, tanto quanto la storia e le strutture fenomenologiche che operano in funzione alla nostra concezione di mondo. Da un lato, queste funzioni sono mediate a partire dal linguaggio che utilizziamo per definirle — l’espressione tramite parole, gesti o segni —, ma dall’altro esistono e quindi devono essere analizzate in relazione al sistema socioculturale dove vengono instaurate. Un esempio di come sabotare il linguaggio, in questo caso la nomenclatura delle cose, si trova negli specchi Love Me, Love Me Not (Ukraine – Czernowitz) (2018) e Love Me, Love Me Not (Bulgaria-Plovdiv) (2018), che mettono in luce quanto la traslitterazione e l’alfabeto non siano delle pratiche “innocenti”, ma modalità assoggettanti sia nel definire un determinato luogo, sia nella successiva percezione dello stesso. Una parola o un gesto, infatti, non esprimono un unico significato possibile, in quanto persone di culture diverse possono esprimersi in modo diverso nello stesso contesto, e così il grafico sugli specchi mostra le denominazioni che le due città hanno assunto nel corso delle epoche.
La disarticolazione dei limiti del linguaggio, e la loro conseguente speculazione, passa anche attraverso il sabotaggio di architettura e design ostili, quelle strategie di progettazione urbanistica mirate a impedire comportamenti ritenuti vandalici o che lederebbero l’ordine pubblico. Down Low Gitter (2018), strumento di smistamento della folla (noto come “Gitter” in tedesco) in scala 1:1, viene modificato diventando un dispositivo confortevole dove instaurare un atto di lettura collettiva. Lontano dall’essere qualcosa di unpleasant, il divano rosa, con le sue curve, sembra ricordare il design degli anni ’60 e porta su sé stesso alcune delle pubblicazioni riguardanti i macro progetti del collettivo, e da cui deriva l’opera stessa. Allo stesso tempo Underage Page (extended turquoise) (2018) si propone come una seduta a metà tra uno sgabello tipico di un diner statunitense e una pertica per la pole dance, un sistema di associazioni che sottolinea sia la storia della trasformazione delle modalità di lettura, da collettivo e orale, sia una percezione individuale e penitente dell’atto, tanto quanto la sensualità proveniente dal tubo metallico in mezzo alle gambe del lettore. Questo binomio tra violenza e sensualità, come condizione necessaria per accedere al libro, è spesso presente nelle opere di Slavs and Tatars, che non a caso nasce proprio come un gruppo di lettura.
La ricerca di Slavs and Tatars espressa all’interno degli spazi di eastcontemporary offre una possibilità metodologica: l’opportunità di espropriare le narrative dominanti del proprio linguaggio, a partire da forme di autocoscienze che si radicano nel vasto territorio culturale dell’Eurasia. Ogni caduta di mistificazione allora diventa una vittoria, ogni ribaltamento di senso un’occasione per contraffare qualsiasi monopolio e controllo di significato.