Viasaterna ospita la prima mostra interamente dedicata al lavoro di Marion Baruch (Timisoara, 1929), continuando la collaborazione avviata con l’artista nel 2018.
Protagoniste del nuovo progetto espositivo sono le opere tessili dell’ultimo decennio della produzione dell’artista, tra il 2012 e il 2023, tra cui anche lavori mai esposti prima. Tra le oltre venti opere in mostra compaiono Teatro e Teatrino, entrambe del 2013, le cui forme sono riconducibili agli elementi dell’architettura scenica; Schwerkraft (2018) e l’inedita Oranjegekte, Follia Arancione! (2023). Il percorso espositivo culmina con Meccanismi di precisione per sculture (2022), una serie mai esposta finora dove frammenti di tessuto sono sospesi in teche aperte, intrattenendo così un dialogo con lo spazio che diventa parte integrante dell’opera. Baruch è nata da genitori di origine ungherese a Timisoara e cresciuta in un contesto politico e sociale altamente instabile, tra stalinismo e fascismo, ideologie che hanno segnato profondamente la sua formazione, la sua poetica e il suo divenire artistico. Fin da bambina si appassiona all’arte, disegnando ogni giorno anche da rifugiata di guerra nelle campagne romene. La sua inclinazione, in particolare per la pittura, la porta prima a Bucarest, poi a Gerusalemme, dove studia alla Bezalel Academy of Arts and Design, e infine, grazie a una borsa di studio, all’Accademia di Belle Arti di Roma, dove esplora diversi linguaggi artistici completando la sua formazione. Negli anni ‘70 si ristabilisce in Italia, a Gallarate, dove insieme all’architetto Carlo Moretti concepisce la villa modernista in cui vivrà per decenni. Un’esperienza di progettazione che la impegna a lungo e la avvicina al mondo del design e della scultura. Tra il 1993 e il 2010 vive a Parigi, dedicandosi anche a progetti riconducibili all’arte relazionale. E poi di nuovo in Italia.
È a partire dal 2012 che Baruch focalizza in maniera esclusiva la sua ricerca sul tessuto, complice anche la storia di Gallarate, città legata al mondo dell’industria tessile, in cui è tornata a vivere stabilmente. Utilizzando i residui delle confezioni del prêt-à-porter, brandelli di stoffa altrimenti destinati a essere distrutti, Baruch codifica un linguaggio attraverso l’alternarsi di forme, colori, materia e vuoto, non modificando la materia se non con il gesto compositivo e la forza di gravità. Minimizzare ma non nascondere: questo è l’approccio di Baruch. Il vuoto si conferma uno dei punti focali della poetica dell’artista: uno spazio attivo, che contiene potenzialità e con cui relazionarsi. Come accadde a Parigi nel 2009 durante il progetto “Une Chambre Vide”: Baruch aveva svuotato completamente una stanza del suo appartamento dove organizzò una serie di incontri in cui invitava chiunque ad accomodarsi, scambiare idee, opinioni e ad osservare l’alternarsi della plage du soleil e della plage de la lune sul parquet del pavimento e, incorniciate dalla finestra, le continue trasformazioni del cielo.
La fascinazione dell’artista nei confronti del tessile ha caratterizzato tutta la sua produzione e può essere letta anche in relazione alla trasformazione industriale, figlia del capitalismo, a cui Baruch ha assistito. Nel mostrare ciò che avanza, le sue opere interrogano l’osservatore sulla sovraproduzione, sulle abitudini di consumo, sullo spreco, rivelando l’esile fascino dei residui, solitamente nascosti e quindi invisibili. Scegliendo di non agire in modo irreversibile sulle vestigia dei tessuti che danno vita alle sue opere, Baruch celebra il loro passato svelando al contempo il lavoro incessante che li ha trasformati. Mettendo in discussione e valorizzando al tempo stesso il flusso produttivo dell’industria della moda, e del mondo dell’arte, nelle opere di Baruch risuonano temi sociali e culturali che collegano diversi periodi storici e correnti artistiche e che confermano un tratto, quello di essere un’artista del presente, che caratterizza tutta la sua poetica.