Galleria Eugenia Delfini è lieta di presentare “Collateral Histories”, una mostra bipersonale di opere fotografiche di Giulia Parlato (1993, Palermo) e Giovanna Petrocchi (1988, Roma).
In mostra vengono presentati, come fossero parte di un’unica installazione, alcuni collage digitali di Petrocchi dalla serie Magic Lanterns (2020-in corso), alcune fotografie analogiche di Parlato dalla serie Diachronicles (2019-2022) e un inedito corpus di fotomontaggi in bianco e nero e oggetti 3D appartenenti alla serie fotografica Collateral Histories realizzata in collaborazione tra le due artiste nel 2020 a partire da una commissione di Art Licks Magazine.
I lavori selezionati mettono in questione la relazione tra fotografia, narrazione storica e la museologia attraverso l’esplorazione della fotografia documentativa ma anche del collage fotografico e l’utilizzo di alcuni oggetti stampati in 3D. In particolare, nella serie Collateral Histories, Parlato e Petrocchi si interrogano sui modi in cui determinate forme si stratificano nell’immaginario comune e sulle modalità in cui la nostra eredità culturale viene tramandata. Per farlo le artiste hanno approcciato il passato in chiave dinamica ovvero pensandolo come fosse un contenitore da cui attingere documenti d’archivio, immaginare nuovi scenari e riflettere sulla rilevanza che l’archeologia, la fotografia e il museo hanno nella creazione della narrazione storica. Si sono chieste: Che responsabilità hanno le politiche museali e la fotografia documentaria nel costruire verità storiche, narrative culturali e immaginari comuni? È possibile reimmaginare il passato? Esiste un’unica storia o più storie?
Se da una parte, nei suoi lavori, Parlato mette in discussione l’idea della fotografia come documento veritiero e prende in prestito l’estetica delle immagini della scena del crimine e delle scoperte archeologiche per evidenziare momenti della vita dei manufatti, dall’altra, il lavoro di Petrocchi attinge agli archivi e ai cataloghi dei musei e a partire da quelli crea collage digitali che mettono in discussione le narrative proposte dalle istituzionali.
La mostra si offre dunque al pubblico come un set in cui fotografie, documenti e oggetti testimoniano dei ritrovamenti di cui non si sa né la provenienza temporale né quella geografica. Come una raccolta di prove, questi lavori sottolineano come le narrazioni del passato possano e debbano essere ciclicamente interrogate e al contempo disvelano il potere della finzione e della falsificazione della fotografia.