La Galleria Fonti presenta “meinFeld”; la terza mostra personale di Manfred Pernice con la galleria.
Il mio campo, (meinFeld), è un luogo metaforico, domestico: un’atmosfera pericolosa all’esterno evoca uno scenario di preparazione e organizzazione di una struttura di difesa. Minaccia, tensione e paura motivano l’installazione di sistemi di difesa – mobilio e dispositivi. (allarme off: è solo un’esposizione di opere d’arte-oggetti d’interno alla Galleria Fonti).
Il lavoro di Manfred Pernice trattiene in sé il concetto di continua trasformazione urbana che ha caratterizzato Berlino per oltre un decennio, quello immediatamente successivo alla caduta del Muro. Sin dagli anni ’90, l’artista ha realizzato elementi scultorei e installazioni derivati dall’architettura e dal design, dai carichi navali, dai container e dagli imballaggi che costellano il paesaggio contemporaneo. Utilizzando materiali banali e di riuso o tratti dal mondo dell’edilizia, come truciolato e cemento, e combinandoli con oggetti trovati, fotografie, scritti e disegni, Pernice costruisce una estetica della marginalità e dell’incompiuto, che è solo apparentemente approssimativa perché risulta invece precisamente dettagliata e pianificata. Le sue opere sono meditazioni sul paesaggio abitabile, sia urbano che domestico e sulla dialettica tra rovina, come memoria o scarto, e reinvenzione che lo caratterizza. “>meinFeld<“, che in tedesco significa il mio campo, gioca sull’assonanza con la pronuncia della stessa parola inglese minefield, campo minato. Lo spazio domestico diventa un campo o scenario astratto attraverso la collocazione nelle sale della galleria di otto opere/oggetti che si trasformano in potenziali dispositivi di difesa.
Quattro sculture cilindriche e quattro di forma trapezoidale alludono a funzioni determinate e suggeriscono comportamenti familiari, che tuttavia vengono immediatamente deformati. Allo stesso tempo, sembrano rispondere a nuovi modelli di abitare e di organizzare lo spazio domestico. Pernice dà vita a uno scenario ambiguo, a una struttura spaziale difficilmente decodificabile, in cui le letture possibili si moltiplicano e le dinamiche di relazione tra le singole opere e lo spazio si espandono.