La galleria A arte Invernizzi inaugura la mostra “Dimensionare lo spazio”, a cura di Lorenzo Madaro, un progetto espositivo che invita a riflettere su un’idea di scultura intesa come rimodulazione dello spazio fisico attraverso opere la cui tridimensionalità nasce dalla alterazione della percezione visiva.
“Dimensionare lo spazio” si concentra sui perimetri e sugli ambiti di ricerca di una scultura e di una pittura in grado di generare riflessioni sulla forma e lo spazio. Gli artisti protagonisti del progetto espositivo investigano le radici proprie del linguaggio, esplorando la luce e il dinamismo, la geometria e il suo collasso, ma anche il rapporto tra la bidimensionalità della parete e lo sguardo espanso dell’architettura, esplicitando le specificità che la scultura ingloba costantemente.
All’interno di questa dicotomica e persistente relazione di connessione che sussiste tra forma e spazio, si estende un dibattito destabilizzante e straordinario, anche sul piano propriamente teorico. L’artista che in Italia ha avuto un ruolo prioritario in quest’ambito – anche sotto il profilo teorico e in anni pionieristici – è stato Nicola Carrino, da cui è stato tratto il titolo della mostra e secondo il quale “Scultura è operazione del mutare, strumento indispensabile del continuo occupare e dimensionare lo spazio”. Come evidenzia il critico d’arte Franco Sossi nel suo Luce Spazio Strutture (1967), i presupposti di tali esperienze vanno rintracciati nel Costruttivismo degli anni Dieci del XX secolo. La scultura pertanto diviene un linguaggio generativo di esperienze, preludio di un’architettura ulteriore rispetto a quella con cui si relaziona, ma è anche un linguaggio che esiste solo in rapporto a un ambiente. È l’opera stessa che contiene lo spazio, creandolo.
Al piano superiore della galleria è presentato un nucleo di lavori in marmo (Sospiri) di Antonio Trotta (Stio, 1937 – Milano, 2019), forme plastiche che riecheggiano i profili di fogli di carta di un’era indefinita, di un futuro sempre eterno, oppure il reperto di un passato ancora in divenire. I cementi di Arcangelo Sassolino (Vicenza, 1967), artista che agisce soprattutto sui materiali, sono territorio di sperimentazione di forme e di profili sinuosi che si sfrangiano dialogando con le geometrie di luce dei neon bianchi di François Morellet (Cholet, Francia, 1926 – 2016), che già negli anni Cinquanta libera l’arte contemporanea da ogni possibile impegno narrativo per intraprendere una ricerca in grado di essere sperimentale e radicale. Al centro della sala espositiva è presentata un’opera di Nicola Carrino (Taranto, 1932 – Roma, 2018) che ha sempre lavorato sull’essenzialità di forme modulari rigidamente progettate in grado di essere ricomposte secondo una libera scelta dell’autore, ma anche di scandire vuoti e pieni degli elementi che costituiscono lo spazio con cui si relazionano. Nella sala adiacente Luce/Ombra + X, 1981 di Gianni Colombo (Milano, 1937 – Melzo, 1993), tra i fondatori del Gruppo T e che dal 1959 ha indagato la profonda relazione tra spazio, tempo e percezione, genera un ambiente immersivo che invita a perdersi e a ripensare il nostro rapporto con l’opera d’arte.
Le opere di Michel Verjux (Chalon-sur-Saône, Francia, 1956) e Igino Legnaghi (Verona, 1936) collegano il piano superiore a quello inferiore attraverso una proiezione luminosa del primo, che attraverso i suoi éclairages trasforma la luce in forma, ambiente, spazio, alterando le architetture e il nostro rapporto con esse, e la scultura a muro di Legnaghi, che ha fatto dell’armonia matematica il punto essenziale del suo operare all’interno della scultura.
Al piano inferiore sono presentati alcuni interventi realizzati per gli spazi della galleria da Gianni Asdrubali (Tuscania, 1955) e David Tremlett (St. Austell, Cornovaglia, 1945). Mentre Asdrubali attiva lo spazio attraverso l’energia e l’intensità del suo gesto – perentorio ma insieme morbido, fluido e magmatico – costruendo una nuova pelle alle pareti su cui interviene, in un corpo a corpo tra l’artista e lo spazio stesso in cui agisce, Tremlett realizza un wall drawing di grafite e pastello con una costruzione di forme, che si librano tenendo conto dell’architettura, ma anche del proprio vissuto. Gli interventi a muro sono in dialogo con Stacked (vertical corner) di Lesley Foxcroft (Sheffield, Regno Unito, 1949), in cui i singoli moduli di MDF nero scandiscono verticalmente una porzione angolare della galleria, strutturando un’architettura ideale, e l’installazione di Gnomoni di Grazia Varisco (Milano, 1937), che ancora oggi prosegue un incessante lavoro di ricerca sui materiali, le forme plastiche e i loro comportamenti in relazione a una progettualità infinitamente rigorosa, in un incontro fecondo tra sperimentazione e pensiero. Infine è presentata l’opera Scultura ‘96 di Mauro Staccioli (Volterra, 1937 – Milano, 2018), che dalla fine degli anni Sessanta ha indagato la natura dialettica della scultura come mezzo di relazione in grado di connettere l’arte alla società.