Dadamaino?, “mi ha sempre interessato come ha creato gli spazi”; Danese, il Timor di Enzo Mari, “un regalo preso proprio alla Triennale da mio marito”, (invito in tinta, 20 settembre, un anno dopo la prima sfilata); Accardi, “l’avete vista la mostra a Roma? Bellissima, no?”.
La mattina, poche ore prima della sfilata, terrazza Triennale, felice, e divertito. Ormai consuetudine per Sabato de Sarno, incontrare la stampa italiana e gli amici. Confidenze e clima sereno, lontano dallo star system, che sta per arrivare in massa. Moodboard e ispirazioni, ma anche tessuti, finiture, artigianato, errori che si trasformano in collezione, nuovi volumi, archivio. Arte, tanta arte. La stagione precedente tanto John Baldessari. Adesso Bambù e Giappone, artisti e ceramica e plexiglas. Nuove icone che nascono (clutch bellissima). Arriva anche un bassotto di sei mesi, e lo prende in braccio, ne ha due di cani a casa. E via a raccontare un percorso tra immaginazione e sogni, tra tessuti, e precisione. “Sono stato modellista, amo come cadono i tessuti, come prende vita l’abito”. È un Sabato sempre se stesso, genuino. Come prima del titolo che adesso ha. Ama la pulizia del linguaggio. Come pensa, così il suo stile. Linee asciutte ma con invenzioni. La linea è discrezione e tra le parole, nascoste, eleganza. “I tuoi riferimenti sono sofisticati”, qualcuno riprende in sala. Un sorriso. Per Sabato tutto passa apparentemente leggero e normale e tutti sedotti da quell’umanità atipica, attenzione alle modelle, come alle bodyguard, in una sintesi della “casual grandeur”. Si parla di Brat, ma non tutti conoscono, oramai verde iconico, che vedremo in sfilata, “Il verde lo ha usato nella seconda Tom Ford, ricordate?”.
Nel frattempo Sinner, Bts, Dakota Johnson, Olimpia di Grecia, hanno creato un ingorgo a Milano e fuori dalla Triennale. E “ancora” Triennale. Simbolo del design italiano. Del resto la moda non è forse design? Bisogna sempre ricordarlo? La sera prima, a sancire un legame, tutti da Hoepli, un edificio di Milano che andrebbe guardato e riguardato, rivestito in granito rosa di Baveno, con il pavimento di granito bianco moschettato di Alzo. Dal 1960 una delle più belle librerie europee. Ovvero del mondo. In vetrina “Italiane ancora”, numero 3 della serie “Prospettive”. Eva Fabbris, con Giovanna Manzotti hanno fatto una scansione affidabile e sorprendente, dalle genitrici alla ricerca, “mica conoscevo questa artista, ma è bravissima. Te la presento, ne sentirete parlare”. Commenti tra i libri. E sui libri invece gli sticker “Selected by Gucci”, selezione ampia e sofisticata, “Clinica dell’abbandono” come “Reiventare il mondo” come “Lo spazio pubblico come immaginario”.
Centinaia di persone in fila, con i versi della Cavalli, a girare tra le parole. Come dice uno dei top manager del brand che è ormai un teorico e non solo un manager, “la cultura, la cultura, e ancora la cultura, è alla base della costruzione del futuro. Per un brand, come per la società. E noi italiani abbiamo, tutti, una responsabilità in questo percorso”. A parte: la sfilata, bellissima, in un tunnel arancio, con la luce autunnale che filtra dalle vetrate alte della Triennale. “Non è mica la luna” scalda l’aria. In prima fila artiste e artisti, tanti, galleristi, tanti, direttori di musei. Sabato corre e balla felice, come la Ceretti con la Tougaard, e anche Mariuccia Casadio si muove a ritmo. Ormai non sono più solo sfilate. E la moda non è solo moda. La moda è cultura espansa.