La modernità è quel progetto incompiuto che dobbiamo continuamente reinventare. Incontrare Andrea Branzi è sempre incontrare una reinvenzione, aderire a uno scardinamento progettuale o provare a intuirlo, se non a farlo. È un modo sempre diverso di guardare al mondo e alla società, e di incontrarlo attraverso gli oggetti. C’è tutta la nostra epoca in quell’oggetto contemporaneo, che non deve essere monumentale né definitivo, ma debole e reversibile.
E così questa preziosa mostra “Civilizations without jewels have never existed”, a cura di Alessio de’ Navasques, in collaborazione con Nicoletta Morozzi e Lorenza Branzi, negli spazi completamente rinnovati di 10 Corso Como; belli, ampi e sinceri, come chi li ha commissionati, Tiziana Fausti e disegnati, 2050 +, rilascia la dimensione umana e gigante di Branzi, teorico, architetto e designer. Le cui riflessioni si riflettono in ogni oggetto, e stanno lì, come degli haiku. Semplici di semplicità che ti guarda in attesa. Una sequenza di oggetti quotidiani, composti in un equilibrio instabile con le funzioni, che tradiscono i materiali; li esaltano o li rilasciano . L’argento prende le sembianze di un metallo antico, senza prosopopea nella sua seduzione al tempo e all’ossidazione. I pezzi, che sembrano tagliati da mani grosse, sono eseguiti da colti e raffinatissimi artigiani, abbinati poi a pezzi di legno e di natura. Le lampade, omaggio interrogazione al Giappone, sono rigorose fino al capello del millimetro e delicate come una passeggiata primaverile a Kyoto. Tutto è poeticamente perfetto, perché è il linguaggio di Branzi a esserlo, sempre.
I gioielli, eterei e austeri, onirici e atemporali, sono cornici dell’anima per divinità romane o future icone digital. Come quelle sedie e panche che da tanto non si vedevano in Italia (che peccato!), e che sanno mettere poesia nel postmoderno senza tradire il disegno.
Cosa rilasciano queste mostre se non una nostalgia per questi giganti della nostra cultura che ci hanno lasciato ma che tornano vivi grazie a mostre intelligenti e delicate. Che si interrogano senza pretese e ipocrisie sui titoli, sugli spazi e sugli allestimenti (come fa la scenografia di Francesco D’Aurelio), e che ti lasciano un senso di incontro con l’autore, come se avessimo appena finito un capitolo del suo libro. O una sua lezione. E questo non è solo design.
Andrea Branzi.
Civilizations without jewels have never existed
A cura di Alessio de’ Navasques
Galleria di 10 Corso Como, Milano
18 dicembre 2024 – 16 febbraio 2025
In collaborazione con Nicoletta Morozzi e Lorenza Branzi
Gallerie: Casa Argentaurum e Friedman Benda