Drawing—as practice, commodity, medium—exists inside the institution of art; drawing is a reputable province of visual production. And yet drawing likes to abandon its roost inside art and to forget where it belongs. (Wayne Koestenbaum, On Doodles, Drawings, Pathetic Erotic Errands, and Writing).
Questa non è solamente una mostra, ma il risultato di un legame. Un gruppo di amici, oltre che di artisti. E come spesso accade tra amici, le cose prendono forma senza un progetto dichiarato, senza troppi discorsi. Si dipanano quasi per necessità. “Intimate Tales” nasce così, da un racconto condiviso che, appena intrapreso, rivela connessioni profonde: un’attitudine comune verso il disegno e la pittura, un certo modo di guardare all’arte del Novecento, una ricerca che oscilla tra esperienza quotidiana e immaginazione. Le opere su carta di Leonardo Devito, Louis Fratino, Nikki Maloof, Danielle Orchard e Alessandro Teoldi, occupano lo spazio con discrezione, senza eccessi o dichiarazioni esplicite. Non c’è spettacolarità, ma un dialogo silenzioso che le collega, come se ogni lavoro fosse legato all’altro da un’intesa naturale, fatta di vicinanza e rispetto reciproco.
Se la pittura, con la sua costruzione stratificata nel tempo, sedimenta e definisce l’immagine attraverso passaggi successivi, il disegno è per sua natura più instabile, più vicino al pensiero nel momento stesso in cui prende forma. È un mezzo immediato, a volte precario, che permette agli artisti di esplorare l’ambiguità e il carattere sfuggente delle immagini. Il poeta e critico statunitense Wayne Koestenbaum, descrive il disegno come bisogno di verificare (o celare) una fantasia interiore dandole una forma visiva. Per Koestenbaum il disegno, con la sua natura sfuggente e imprevedibile, manca della “razionalità (o dell’ordinarietà) necessaria per rimanere fedele a chi lo crea”. La condizione evocata da Koestenbaum, il disegno come mezzo capace di cogliere perfettamente il movimento stesso della mente, trova qui la sua espressione concreta: per questi artisti, il disegno non è solamente un mezzo, uno studio preparatorio, ma è condizione di ricerca, un linguaggio autonomo, un luogo in cui il vedere e l’immaginare si incontrano senza bisogno di un esito definitivo.
Gli artisti in mostra sono quasi tutti pittori. Ciò che li lega, oltre all’amicizia e alla condivisione di un certo sguardo sul reale, è il modo in cui tutti fanno riferimento alla pittura della prima metà del Novecento. Un tempo di un realismo che si faceva magico. Le influenze di Picasso e Matisse, il segno elegante e austero di Casorati, la dimensione intima e silenziosa di Morandi, i dettagli iperrealisti di Gnoli, per citarne solamente alcuni, affiorano nei loro disegni esposti e, più in generale, in tutta la loro produzione. Quella di ciascuno di loro è una pratica che si nutre di una memoria stratificata, dell’urgenza di recuperare un realismo che sia capace di elevare la quotidianità e la dimensione domestica a luogo di intimità, ma anche a spazio su cui proiettare desideri e immaginari.
Pittura e disegno sono per Leonardo Devito (1997, Firenze) territori di sospensione. Profondamente ispirato dalla tradizione rinascimentale, Devito parte da un’iniziale immagine mentale, per poi lasciare che sia la pittura a guidare il processo creativo, espandendola, trasformandola e infine dissolvendola. Intuizione e tecnica si influenzano reciprocamente, dando vita a una narrazione in evoluzione, in cui particolare rilevanza spetta all’elemento ludico. I disegni esposti sembrano evocare una dimensione onirica, in cui riferimenti espliciti all’arte del Trecento e Quattrocento italiano si intrecciano con elementi contemporanei, creando una “frammentazione di periodi”. In questo dialogo tra epoche e linguaggi, Devito combina realismo ed elemento fantastico, dando forma a mondi alternativi in cui il familiare si trasforma in qualcosa di inaspettato.
Il disegno rappresenta per Louis Fratino (1993, Annapolis, Maryland) il mezzo essenziale per dare forma ai pensieri, un processo attraverso cui rispondere fisicamente al dialogo interno “astratto, errante, circolare e ossessivo che accomuna tutti”. In preparazione al suo lavoro pittorico, Fratino spesso disegna su quaderni e taccuini, uno spazio in cui permettere alle idee di emergere senza filtri, in modo spontaneo e confessionale, includendo anche gli aspetti più intimi e vulnerabili. Per l’artista questo processo si lega profondamente all’uso di materiali umili: carboncino, grafite, polvere pigmentata, acquerello, pezzi di carta. Elementi privi di valore intrinseco, capaci però di dare vita a un soggetto senza autocoscienza. Nel disegno si radica l’essenza stessa dell’arte, un’espressione che prende vita per pura necessità, perché non potrebbe essere altrimenti. Nella sua serie di disegni dedicata al suo compagno e all’amico e artista Shota Nakamura, Fratino cattura momenti di vicinanza e intimità. Questi lavori non solo documentano il suo mondo personale, ma evocano anche un senso universale di connessione, rendendo il disegno un mezzo privilegiato per raccontare una dimensione affettiva.
Nikki Maloof (1985, Peoria, Illinois) esplora il mondo degli oggetti quotidiani attraverso una serie di disegni a matita in cui il cibo, la tavola e gli elementi domestici occupano il centro della composizione. Il suo sguardo democratico sugli oggetti ci permette di osservare una dimensione priva di gerarchie: una ciotola di frutta, le mani di una famiglia intenta a cenare seduta attorno alla stessa tavola, il banco di un pescivendolo, un lombrico che risale lo stelo di una pianta, tutti hanno lo stesso peso visivo, indipendentemente dal loro valore funzionale o simbolico. La casa e l’ambiente domestico sono spazi sospesi tra la realtà e la messa in scena, con una teatralità e uno sguardo focalizzato sui dettagli che ricordano l’opera di Domenico Gnoli. Come in Gnoli, anche in Maloof gli oggetti vengono isolati e ingranditi, caricati di una presenza che li rende più che semplici elementi d’uso quotidiano. L’intera varietà di oggetti raffigurati da Maloof non ci rivela il mondo circostante, ma all’opposto, operando per esclusione, si inserisce nel mondo stesso, costruendo un’immagine che sembra voler rivelare l’essenza stessa delle cose.
Nel corso degli anni, il corpo femminile e la maternità sono diventati temi centrali nella ricerca artistica di Danielle Orchard (1985, Michigan City, IN). Queste tematiche trovano espressione in una serie di disegni a carboncino che esplorano l’intimità e la fisicità di queste esperienze. Le sue figure femminili, ispirate alla tradizione modernista, si distinguono per una sensibilità che restituisce con delicatezza la dimensione emotiva della cura e della protezione. Il suo modo di rappresentare il legame tra le donne e il loro stesso corpo rivela un’intimità profonda con questi temi, che emergono non solo come soggetti iconografici, ma come esperienze vissute. Nei disegni di Orchard, i corpi si sfiorano, si intrecciano in gesti di affetto e contatto, comunicando una tenerezza palpabile. Le opere in mostra catturano quei momenti di intima vicinanza che non si esauriscono in un’esperienza individuale, ma definiscono il legame tra madre e figlio, tra madre e madre.
Alessandro Teoldi (1987, Milano) costruisce il suo racconto attraverso frammenti visivi raccolti nel tempo: scatti conservati sul telefono, così come immagini recuperate da un archivio personale. Il corpus di collage in mostra è realizzato dipingendo su carta con colori a olio, acrilico, pastello e carboncino. Il risultato è un’analisi approfondita sul processo del collage, che Teoldi ha iniziato a esplorare negli ultimi due anni, come naturale evoluzione del suo lavoro con il tessuto. Questo passaggio rappresenta un’estensione della sua ricerca artistica, in cui il gesto del ritaglio e della sovrapposizione diventa un’indagine sulla memoria, sulla composizione e sulla trasformazione della materia. Attraverso la stratificazione dei materiali, Teoldi realizza nature morte nelle quali elementi quotidiani e tracce di un’esperienza personale si trasformano in una riflessione sulla fisicità delle cose, sulla semplicità e l’intimità degli oggetti. In questo senso, il suo lavoro si inserisce in un dialogo con la tradizione pittorica del Novecento italiano, esplorando la natura morta come spazio di sintesi formale, ma anche tensione emotiva.
Testo di Micola Clara Brambilla