La bella confusione e le comete. Maria Grazia Chiuri riscrive Roma tra moda, memoria e visioni culturali. di

di 28 Maggio 2025

Roma non è una città. È un campo di forze. Una stratificazione di poteri simbolici, estetici e spirituali che si sovrascrivono da millenni nel corpo stesso della città. Ogni gesto che accade a Roma ha un peso specifico. Non è mai solo una sfilata. Non è mai solo un restauro. Non è mai solo una riapertura. Maria Grazia Chiuri lo sa. E lo dimostra, ancora una volta, con lucidità e profondità.

La sfilata Cruise 2026 di Dior, andata in scena il 27 maggio a Villa Albani Torlonia, è stata una dichiarazione estetica e politica, non una semplice presentazione di collezione. In uno dei luoghi più inaccessibili della Roma classica, dove si custodisce un ideale archeologico, Chiuri ha innestato il suo linguaggio: corpi presenti, forme che evocano, materiali pensati, attori, artisti, intellettuali da varie latitudini. L’abito diventa documento, il gesto diventa struttura, la moda si fa memoria in azione.

La collezione si apre con una serie di look total white che evocano il leggendario Bal Blanc, ballo in maschera della contessa Mimì Pecci Blunt, figura emblematica di una Roma intellettuale e internazionale, colta e mondana, padrona di casa tra Parigi, Roma e New York, e mecenate del Teatro della Cometa. Chiuri ne raccoglie l’eredità e ne rinnova il gesto. Non lo celebra: lo riattiva. La moda è così mezzo di traduzione di genealogie femminili, culturali, simboliche.

Accanto al riferimento alla Pecci Blunt, la sfilata costruisce un palinsesto cinematografico che restituisce alla Roma degli anni Sessanta un’inedita centralità contemporanea. Il titolo La Bella Confusione — proposto da Ennio Flaiano per 8½ e ripreso nel libro di Francesco Piccolo — diventa chiave narrativa per leggere l’intera operazione. Chiuri richiama Visconti, Fellini, Claudia Cardinale: ma è la regista del proprio immaginario. Una moda che non cita, incorpora.

I riferimenti formali scorrono fluidi: corsetti medievali, gilet perlati, giacche smoking, tulle trasparente, trench destrutturati, velluti biker. Un mix che supera l’effetto e costruisce una grammatica di corpo e tempo, che rifiuta ogni linearità storica. Le silhouette non appartengono a un’epoca, ma a un’idea di presenza. La moda come archivio attivo. Come documento incarnato.

Eppure, il gesto più potente non si è consumato solo sulla passerella. Il giorno prima, a Villa Medici, un aperitivo raccolto ha segnato l’anticamera silenziosa della sfilata ma è nell’apertura del Teatro della Cometa che Chiuri compie il suo atto più politico.

Chiuso da anni, il teatro è stato riportato alla luce grazie a un’azione collettiva e personale: un progetto familiare assieme alla figlia Rachele. Il restauro, guidato da Fabio Tudisco, non è stato un semplice recupero. È stata una rifondazione culturale. Il teatro è tornato ad essere spazio di produzione, di pensiero, di incontro. Un teatro che oggi è un dispositivo di linguaggio.

Mentre il sistema moda rincorre algoritmi e viralità, Maria Grazia Chiuri pratica un’estetica della responsabilità. Non fa storytelling. Costruisce narrazioni spaziali. Non cerca l’icona, ma la relazione. Villa Albani, Villa Medici, il Teatro della Cometa: tre coordinate, un’unica geografia.

Una moda che non si guarda, ma si legge. Che non si consuma, ma si attraversa. Chiuri non disegna solo abiti. Organizza significati.

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Cristiano Seganfreddo