“Il campo espanso. Arte e agricoltura in Italia dagli anni Sessanta a oggi” Palazzo Collicola / Spoleto di

di 17 Giugno 2025

“Maxima pars est agriculturae, ex qua ceterae artes pendent.”
“L’agricoltura è la più grande delle arti, da cui dipendono tutte le altre.”
Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, Libro XVIII, 3.

A Palazzo Collicola questo assunto si fa tangibile, materia espositiva. Le sezioni tematiche della mostra mappano una complessità che non si risolve, ma si esplora: c’è il lavoro agricolo come gesto politico, la ruralità come luogo di memoria e di identità, il cibo come linguaggio, l’ecologia come etica condivisa.
“Il campo espanso” più che una mostra è un varco, un percorso che si apre tra la terra e la tela, tra il seme e la forma, tra il visibile e ciò che lo trascende. Curata da Simone Ciglia e ospitata al piano terra del Museo Palazzo Collicola di Spoleto, questa collettiva ambiziosa riunisce oltre trenta artisti, italiani e internazionali, per indagare una relazione antica, resa costantemente attuale: quella tra arte e ruralità. L’esposizione, a differenza dal libro omonimo pubblicato da Ciglia nel 2015 con la casa editrice Crea, che procedeva secondo un percorso cronologico lineare, raccoglie i lavori di interpreti di generazioni e visioni differenti catalizzandoli attorno a tematiche comuni.

La mostra si articola in tante sale quanti i capitoli di un libro: la prima è concepita infatti come una riduzione indicizzata di ciò verrà proposto in seguito, opere che si espandono nello spazio articolato del museo, e che traboccano nello sguardo dello spettatore. Opere che, dagli anni Sessanta in avanti, sono state fondamentali alla produzione di un nuovo paradigma nell’intersezione tra Arte Contemporanea e Agricoltura. Al centro la Balla di fieno (1967) di Pino Pascali diventa una presenza totemica insieme a inedite fotografie di un mosaico prodotto per la FAO a Roma nel 1964 su temi legati ad Agricoltura, Ittica, Pastorizia e Attività boschive, da cui il titolo, che andò poi distrutto; un disegno giovanile di Leoncillo Ulivi (1932-34) di fattura espressionista che presagisce lo sviluppo della sua scultura; il progetto che Alighiero Boetti realizza per la FIAT in occasione della Fiera dell’Agricoltura di Verona nel 1970, Monumento all’Agricoltura, rimasto solo su carta; Claudio Costa che ricontestualizzando gli oggetti contadini, una finestra di una casa a Monteghirfo in questo caso, trasformandoli in oggetti immaginativi, una risposta contraria al ready-made. Presenze indispensabili (cui verranno più avanti dedicata due sale monografiche), Gianfranco Baruchello, in una conversazione del 1983 con il critico Henry Martin su Agricola Cornelia, e Joseph Beuys con un poster che promuove l’incontro su Fondazione per la rinascita dell’agricoltura tenutosi a Pescara nel 1978.

Nella seconda sala denominata “Coltivare il paesaggio” troviamo un dialogo inedito ma puntuale tra le fotografie degli anni Settanta-Ottanta di Mario Giacomelli (Metamorfosi della terra e Presa di coscienza sulla natura), in cui il fotografo alle volte interveniva in anticipata cosmesi sul paesaggio con richieste precise ai contadini, e gli Spaventapasseri (2023) dai volti di terracotta di Riccardo Baruzzi.
In “Coltivare il paesaggio” vengono selezionate anche opere appartenenti alla collezione del museo, come i paesaggi di Luigi Spezzapan, Bruno Toscano ed Elisa Montessori, inseriti nel fondale inedito di Stefano Arienti Panorama Palme e Ulivi (2025), un telo antipolvere ideato per l’occasione, cui crea una corrispondenza sulla parete opposta Disegno di Alberi (2008) di Massimo Bartolini.

Nel passaggio alla sala successiva un video leggero ma ipnotico di Diego Perrone La periferia va in battaglia (1998). Nella sala “Terre Animate”, che prende il nome dal lavoro 16mm e dalla relativa serie fotografica esposta di Luca Maria Patella, in cui il corpo diventa unità di misura del terreno agricolo, si prende in esame il rapporto mutevole tra essere umano, ambiente rurale e natura con lavori di Elisabetta Benassi, Armando Pizzinato, Lorenzo Scotto di Luzio, Luca Francesconi. Nella fotografia iconica di Massimo Bartolini l’artista si fa immortalare disteso a terra su un fianco, per metà sepolto nella viva terra – Senza titolo (angolo), (1995).

Si prosegue con la sala monografica dedicata alla presenza di Joseph Beuys in Abruzzo da metà anni Settanta a metà anni Ottanta quando l’agricoltura entra nella sua pratica artistica come principio su cui rifondare il rapporto tra essere umano e realtà. Nella sala, tra le più riuscite, “Paradossi della rivoluzione verde” si analizzano attraverso i lavori di Marzia Migliora (Paradossi dell’abbondanza, 2021), Elisabetta Benassi (459 metri di campo arato, 2005 e Autoritratto al lavoro, 2021), le contraddizioni e gli aspetti discutibili che la meccanizzazione e l’impiego della chimica producono sull’ambientale.

In “Riti, Miti, Narrazioni” i lavori di Luigi Ontani, Enzo Cucchi, Diego Perrone e Moira Ricci trasmettono la valenza ancestrale dell’agricoltura nella storia umana come riserva di immagini, leggende, metafore e simboli capaci di raccontare il complesso rapporto tra uomo e natura. Di qui la sala monografica dedicata a Gianfranco Baruchello e Agricola Cornelia definita un “happening pseudo-politico, pseudo-artistico”. E infine i capitoli dedicati ai progetti originali e site-specific come No Man’s Land di Jean-Baptiste Decavèle e Yona Friedman, il festival Interferenze, le residenze d’artista Rave e Pollinaria, le aziende agricole Agricola Due Leoni e Fondazione La Raia, e il Parco Arte Vivente (PAV).

Il titolo “Il campo espanso” cita il saggio seminale di Rosalind Krauss, Sculpture in the Expanded Field, pubblicato sulle pagine di “October,” Vol. 8 (1979), richiamando non solo la terra coltivata ma anche l’orizzonte concettuale allargato, un luogo dove le categorie artistiche si sfilacciano, dove l’oggetto d’arte si fonde con la pratica, con la materia viva, con il gesto quotidiano. Temi di cui aveva già accennato, seppur da prospettive altre, Umberto Eco in Opera Aperta (1962) in cui si definiva l’opera non più come un campo chiuso e autoreferenziale ma come un campo dinamico di possibilità interpretative dalla struttura flessibile, perchè “aperta a una molteplicità di letture”, appunto, in cui linguaggi e discipline si liberavano dalla fissità di confini prestabiliti. Gli stessi che Gene Youngblood aveva ripercorso per altre vie nel suo Expanded Cinema (1970) analizzando le possibilità del video come nuova forma di sperimentazione artistica, dove il film oltrepassa lo schermo e invade lo spazio fisico, coinvolgendo il corpo dello spettatore e contaminandosi con la performance, la musica, l’installazione. L’arte, a partire dagli anni Sessanta, si fa indubbiamente campo d’azione, spazio fertile, processo. Ed è in questo humus che si srotolano le storie di chi sceglie di fare della terra il proprio medium, della natura un insostituibile interlocutore.

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Marta Silvi