Carnevali, topi, e performance. Fiorella Mancini attraverso il suo archivio. di ,

di , 1 Luglio 2025

Molte persone passeggiando per Venezia si chiedevano cosa fosse quello strano negozio in Campo Santo Stefano. Una boutique? Un inquietante negozio di vestiti? Una galleria d’arte? Personalmente quando ero più piccolo mi era stato detto che si trattava di un sexy shop.
A farlo pensare alla comunità veneziana era la presenza di due sculture firmate Gaetano K. Bodanza, che per la vetrina realizzò due nudi statuari, i quali furono obbligati dalle autorità a indossare slip per nascondere il sesso. Questo era uno dei molti elementi iconici che caratterizzavano Fiorella Gallery, il negozio che dalla sua apertura nel 1986 era divenuto emblema della pratica di Fiorella Mancini.

Nata a Ferrara nel 1943, Fiorella Mancini è stata un’artista, stilista, e performer, che, come il suo negozio, si è contraddistinta per stravaganza e interdisciplinarità, sviluppando una pratica che ha raccontato, e racconta tutt’ora, un modo unico di fare moda e politica, inevitabilmente legato al contesto veneziano. La “disturbatrice dell’effimero tradizionale”, come veniva soprannominata, fu attiva dagli anni Settanta fino al 2021, anno della sua scomparsa e che coincise con la chiusura di Fiorella Gallery.
Qui erano esposte e vendute le sue produzioni; lunghe giacche, vestaglie, corsetti, abiti aderenti di lycra, capi unisex caratterizzati da uno stile un po’ surrealista che mostra le influenze della storia della moda veneziana, del costume teatrale, e che strizzava l’occhio ai fetish moderni. Realizzati con pizzi, broccati e velluti in seta, e arricchiti ancora con piume di struzzo, vetrini di Murano e oggetti di tutti i tipi; Fiorella sperimentava con la produzione materiale, usando agenti chimici e tinte sui tessuti o la stampa per intervenire sui velluti a blocchi manuali. Queste raffiguravano spesso motivi ottocenteschi e i suoi temi ricorrenti, disturbanti e ossessivi: teschi, falci e martelli, svastiche, rapaci e moltissimi topi. Da sempre Fiorella era ricordata come una provocatrice del buon gusto, sfidandolo in tutto quello che faceva.
La sua storia racconta un approccio alla moda indipendente, slegata dalle condizioni di mercato, fuori dai ritmi stagionali e basato sulla produzione locale. Iniziò producendo principalmente abiti da sera e costumi teatrali su commissione, dedicandosi da subito a ravvivare antiche tecniche di lavorazione sartoriale e trattando a mano i velluti. Instancabile artigiana, la sua pratica iniziava nel suo magazzino di Mestre, e proseguiva portando i materiali negli atelier veneti per la produzione e il confezionamento, operando sempre in movimento.

Dopo aver lavorato come impiegata, nel 1968 aprì il suo primo negozio in Calle de la Verona, vicino Calle degli Assassini. L’interno di questa boutique fu descritto come un grande camerino teatrale, salvo per la presenza della parte frontale di un pullman, probabilmente a sottolineare ironicamente la sua provenienza dalla terraferma. Viaggiò spesso anche a New York dove portava le sue creazioni vendute “porta a porta”, dove ebbero un maggiore successo rispetto all’Italia, portandola ad avviare uno showroom anche a Broadway. Negli anni aprì anche una sede a Porto Rotondo in Sardegna e a Cortina d’Ampezzo.

Primattrice di una certa mondanità, Mancini era molto legata alla scena politica locale, impegnata con il partito socialista, che la chiamava per documentare gli eventi, animare salotti e organizzare le feste più chiacchierate di Venezia.
I carnevali, trionfo dell’effimero, erano il momento in cui si rendeva più attiva nella vita veneziana. Gli anni Ottanta l’hanno vista impegnata in una serie di performance che l’hanno consacrata come artista dissacrante e anticonformista. Durante il Carnevale del 1980, ideò una performance in cui cinquanta finte onde caricate a spalla da cinquanta ragazzi solcarono Piazza San Marco, in segno di protesta per i disastri causati dall’acqua alta. Per il Carnevale del ’83 invece Mancini stessa travestita con giacca militare e tacchi, “attaccò” la Biennale d’arte di Venezia – durante la performance Liberazione Biennale! Fiorella’s Task Force – nei tre giorni della vernice, con una finta nave da guerra costruita su una motozattera. A bordo, lei con la sua Task Force, navigò fino ai Giardini di Castello inscenando un assalto all’ingresso della mostra con sirene e fucili finti, distribuendo agli invitati e giornalisti un manifesto che riproduceva il gioco della battaglia navale dove tra le imbarcazioni occorreva neutralizzare la Biennale, rappresentata dal suo simbolo.
Oppure nel Carnevale 1986, per inaugurare quello che divenne il suo secondo e nuovissimo negozio in Campo Santo Stefano – Fiorella Gallery –, imbastì un bagno turco con spumante, odalische e vasca idromassaggio in cui si tenne la rassegna “Le mille e una favola”, progetto dove personaggi famosi del mondo dello spettacolo, della cultura e della politica, sostennero l’iniziativa raccontando una favola di carattere politico, sociale, o personale.

Questo luogo divenne presto uno dei più iconici e controversi della città di Venezia, una galleria dove metteva in mostra la sua collezione di oggetti del design italiano radicale, tra cui opere di Gaetano Pesce, Ettore Sottsass, Mario Schifano, Rod Dudley, e Ludovico de Luigi, insieme alle sue personali produzioni e abiti. Fu infatti da sempre suo intento, anche con Fiorella Gallery, portare attenzione su Venezia e creare una sede stabile di arte moderna. Un centro di grande interesse turistico-culturale, nel tentativo di cambiare l’immagine tradizionale di città museo morta, per affermare quella di centro artistico propositivo e creatore di cultura e soprattutto moda.
Molte altre delle sue performance giravano attorno questo intento, come la mostra “I dogi della moda: Travestimento o Realtà”, tenutasi a Palazzo Grassi nel 1984; insieme anche a tutte le feste che organizzò, che non erano mai solo eventi, ma ruotavano sempre intorno a un tema centrale con la città.

Un ultimo esempio emblematico fu sempre nell’84, la festa Do you want to ripopulate Venice? che Mancini organizzò per ripopolare Venezia a Sassa Sessola, isola nel bacino di San Marco all’epoca abbandonata. Venne cancellata e censurata all’ultimo dopo aver creato uno scandalo attraverso gli inviti ritraenti un uomo nudo che incitava alla ripopolazione della città.

«L’iniziativa del comitato Venezia-moda che io presidio, era e rimane serissima, pur nella provocazione “voluta” dell’invito. Ma era un modo per far discutere, per svegliare l’attenzione sul degrado della città e sul destino delle 34 isole abbandonate della Laguna. Nient’altro. Come si fa a non capire – si arrabbia Mancini – che intitolare una festa all’amore ed alla procreazione di una nuova generazione di veneziani non è un’istigazione a commettere atti osceni in luogo pubblico, ma solo un invito del tutto simbolico a prendere coscienza del problema di una città che muore e a far si che siano i veneziani a farla rivivere, riappropriandosi per prima cosa delle isole? La festa inoltre – continua Mancini – aveva lo scopo di far vedere e conoscere un’isola abbandonata tra le più belle di Venezia, prima che finisca nelle mani di qualche ricco privato o di qualche multinazionale straniera».

Infatti alla fine degli anni Novanta venne venduta a una compagnia di alberghi di lusso. La festa non si fece, e nemmeno il ripopolamento di Venezia.

-Mario Scavezzon

 

Pratiche di ricostruzione storica attraverso il fondo fotografico

Sculture, cimeli, giacche in velluto dipinte a mano, corsetti, pellicce, specchi, opere e fotografie in ogni formato e dimensione, topi di plastica e topi stampati su abiti: sono solo una parte di ciò che si trova all’interno dell’Archivio Fiorella Mancini. Di proprietà della Fiorella Mancini Foundation, l’archivio conserva oggi gran parte del materiale, raccolto e conservato dall’erede e direttrice della fondazione Benedetta Danieli, legato all’attività lavorativa e alla vita privata di Mancini. Un contributo importante è stato anche quello di Alessandra Varisco, che si è occupata di riordinare l’archivio e di studiare la figura di Mancini nell’ambito di un assegno di ricerca dell’Università Iuav di Venezia condotto nel 2023.

La sua scomparsa nel 2021 ha lasciato un vuoto documentale e le informazioni che circolavano su di lei provenivano principalmente da testimonianze orali e dalla stampa dell’epoca, spesso frammentaria e contraddittoria.

Due anni più tardi, a dicembre 2024, abbiamo intrapreso una ricerca a partire dalla rassegna stampa, raccogliendo tutto il materiale disponibile: articoli conservati in archivio che la designer aveva collezionato nel corso degli anni, tutto ciò che era presente sul sito – ancora attivo – di Fiorella Gallery e il relativo profilo Flickr, oltre a interviste a persone a lei vicine. È apparso subito evidente come da una parte la rassegna stampa poteva costituire uno strumento utile per delineare una cronologia degli eventi salienti relativi all’attività di Fiorella Mancini, ma dall’altra non poteva essere considerata una fonte attendibile. Gli avvenimenti erano spesso raccontati in modi diversi a seconda degli articoli, rendendo difficile comprendere cosa fosse realmente accaduto e cosa invece, fosse frutto della fantasia dei cronisti. Il tono sensazionalistico della stampa dell’epoca non consente una lettura oggettiva dei progetti, e restituisce frequentemente una visione caricaturale e superficiale del lavoro di Mancini, riducendo gli eventi a mera necessità di provocare scalpore piuttosto che analizzarli in quanto espressione di una progettualità volta alla riflessione critica.

Una parte consistente dell’Archivio Fiorella Mancini è quella del fondo fotografico: più di diecimila immagini tra stampe, provini, negativi e diapositive, raccolte in scatoloni da visionare una per una. Estrapolando quelle legate all’attività progettuale, attraverso un lavoro di smistamento, selezione, digitalizzazione e suddivisione in temi, è stato possibile iniziare a dare un volto a tutti quegli eventi, performance e storie di cui si aveva, fino a quel momento, unicamente una testimonianza orale o scritta, derivante dagli articoli oppure dai racconti di persone vicine a Mancini. Tra queste, una fotografia di piccole dimensioni ritrae una vetrina con quattro statue con la testa di un doge, ciascuna indossa un look diverso; sono presenti anche vari libri e cataloghi. Sul retro, una scritta a penna rossa “Vetrina di Rizzoli 5 Ave”. Era la conferma di quanto letto su diversi articoli che parlavano della mostra “I dogi della moda: Travestimento o Realtà”, organizzata da Fiorella Mancini nel febbraio del 1984 a Palazzo Grassi, Venezia. Secondo quanto riportato, il catalogo della mostra, con fotografie di Franco Fontana, era stato esposto anche nella libreria Rizzoli di New York sulla Quinta Strada, insieme a quattro dei venticinque abiti esposti in mostra sulle statue di legno progettate e realizzate dallo scultore australiano Rod Dudley. La mostra venne allestita nell’atrio di Palazzo Grassi a Venezia e coinvolse venticinque stilisti da tutto il mondo, invitati da Mancini a esporre una delle loro creazioni. Al posto di semplici manichini, Fiorella Mancini si rivolse allo scultore Rod Dudley per la realizzazione di sculture in legno con il volto che ritraeva un doge e il corpo femminile. “Il doge è nudo e somiglia a sua moglie” titola l’articolo intervista di Giusi Ferrè a Fiorella Mancini sulla mostra pubblicato su Epoca in data 2 marzo 1984; ma se delle statue scandalose, delle presunte diatribe tra i designer e dei loro abiti si era parlato ampiamente sulla stampa dell’epoca, poco si riusciva a comprendere di come gli spazi fossero stati allestiti. Finché tra i materiali del fondo fotografico non sono emerse delle diapositive che, una volta sviluppate, hanno mostrato scatti dell’atrio di Palazzo Grassi. Ricoperto da teli bianchi a coprire le colonne e illuminato dall’alto, al suo interno i dogi erano stati disposti secondo due cerchi concentrici, ognuno di essi poggiava su una base metallica specchiata su cui campeggiava il nome del designer che aveva realizzato l’abito. L’esposizione fu uno dei primi eventi organizzati da Mancini in quanto presidente del Comitato Venezia-Moda, fondato con l’intento di valorizzare la moda veneziana. A capo del Comitato, Mancini organizzò altri eventi di cui però rimane poca traccia, come ad esempio il comunicato stampa e l’invito a una festa in maschera presso la Stazione Marittima di San Basilio a Venezia del 27 febbraio 1990, dal titolo “Venezia. Ritorno al futuro”.

Attraverso la campagna di riorganizzazione e digitalizzazione del materiale fotografico sono emersi anche aspetti meno noti dell’attività lavorativa di Fiorella Mancini. Sono numerose le fotografie da lei realizzate in quanto fotoreporter, oppure le immagini che ritraggono i suoi negozi di Porto Rotondo e Cortina, così come quelli veneziani, prima Fiorella Shop in Calle della Verona e poi, dal 1986 Fiorella Gallery in Campo Santo Stefano. Proprio riguardo a quest’ultimo, un’intera sezione del fondo è stata dedicata alle fotografie che lo ritraggono nel corso degli anni, in modo da documentarne l’evoluzione per quanto riguarda l’allestimento. È sempre presso Fiorella Gallery che vengono ritratti personaggi che nel corso degli anni frequentarono o fecero visita al negozio, tra cui Gaetano Pesce, Philip Stark, Marta Marzotto e Margarethe Von Trotta. Infine, le immagini raccontano aspetti della progettualità di Fiorella Mancini: diverse serie fotografiche mostrano shooting realizzati probabilmente da Mancini stessa per documentare i suoi abiti. Tra i primi, riconoscibili poiché ritraggono le sue prime creazioni, ce n’è uno in particolare che ritrae una modella sullo sfondo di Punta della Dogana, con la patina rosacea delle foto dell’epoca.

Molti aspetti dell’attività di Fiorella Mancini rimangono ancora da indagare: il suo lavoro come designer, la sua attività di regista e fotoreporter, così come le sue connessioni con la scena politica del Partito Socialista degli anni Ottanta e Novanta. Il lavoro sopra descritto sull’archivio Fiorella Mancini intende, nella sua progettualità, iniziare a raccontare – attraverso il materiale fotografico, la rassegna stampa e gli ephemera – il mondo ancora ampiamente inesplorato di Fiorella Mancini. Questa ricerca si propone come un punto di partenza dal quale proseguire, e da cui speriamo possano derivare ulteriori interventi per continuare la valorizzazione dell’archivio della Fiorella Mancini Foundation in quanto memoria storica della vita e del lavoro della progettista veneziana.

La digitalizzazione delle immagini ha preso forma nel catalogo, a oggi ancora non pubblicato Fiorella Mancini: Happenings 1982 – 2005.

-Chiara Cuoghi Costantini

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