I CV sono nati per definire chi siamo e come ci presentiamo; una sorta di esposizione estesa delle nostre credenziali: nato a, studiato a, lavorato per, frequentato questa scuola…, interessi speciali e hobby. Anche l’arte si adegua con l’integrazione di categorie: mostre, articoli, esposizioni… Questo Curriculum Vitae non si preoccupa tanto dei dati fattuali quanto di quelli non fattuali, non detti e privati. Una lunga lista di domande private, improbabili e senza vergogna ai protagonisti del mondo dell’arte e della creatività. Domande secche come la vita per risposte brevi come la vita.
L’artista Davide Stucchi risponde alle domande di Cristiano Seganfreddo.

CS: Hai mai desiderato non essere riconosciuto come artista?
DS: Sì, ma poi mi rendo conto che non è un ruolo, è una forma di sensibilità che non posso togliere e mettere a piacere, ma che può servire anche ad altro.
CS: Il corpo è sempre al centro del tuo lavoro. Quanto c’è del tuo in quello che fai?
DS: Assolutamente gli occhi. Il resto si mimetizza.
CS: Cosa ti imbarazza ancora, nel mondo dell’arte?
DS: Ancora? L’imbarazzo, per fortuna, non va mai via. È uno dei pochi sentimenti sinceri.
CS: Denaro, amore, sesso, fama, immortalità: in che ordine li metteresti?
DS: O tutti insieme o nessuno! A volte in coppia?
CS: Il tuo cibo‑ossessione?
DS: Non lo so. Per me conta trovare un bel posto dove mangiare, perché se l’ambiente è speciale, anche un semplice toast diventa magia.
CS: A chi stai parlando, davvero, quando esponi qualcosa?
DS: A un me stesso che non mi ascolta? O fa finta.
CS: Hai mai avuto paura del silenzio?
DS: Sott’acqua sì. Fuori invece, lo cerco nelle carrozze silenzio ad esempio.
CS: Che musica ascolti quando sei solo?
DS: Varie playlist, c’è “Per piangere” ma anche “Pulizie domestiche”. Da solo posso ascoltare in loop compulsivo la stessa canzone anche più di 10 volte.
CS: Pratichi sport o lo eviti con eleganza?
DS: Lo evito con una certa maleducazione, sì.
CS: Il tuo lavoro più strano prima di diventare artista?
DS: Non c’è un lavoro più strano degli altri, E anche ora, faccio più lavori contemporaneamente.
CS: Usi il profumo? Se sì, quale?
DS: A volte anche tre insieme. Una questione di stratificazione.
CS: Che app usi più spesso?
DS: Probabilmente Intesa San Paolo. Triste ma onesto.
CS: Cosa non dovrebbe mai mancare nel tuo studio?
DS: Me. Ma anche una presa multipla.
CS: Compri abiti d’archivio o preferisci il presente?
DS: Compro entrambi, ma mi piacciono le cose già vecchie, anche se prodotte ieri.
CS: A chi hai mandato il tuo ultimo messaggio?
DS: Ho risposto a questa intervista in più momenti, quindi non ne ho idea. Vale?
CS: Hai un oggetto che porti sempre con te?
DS: Il telefono? Non lo so. Non ho feticci o portafortuna. Con gli oggetti ho un rapporto direi sano.
CS: Hai mai sentito invidia?
DS: Sì, e anche gelosia. Faccio ancora fatica a distinguerle, ma ci sto lavorando.
CS: Ti capita mai di non capire cosa stai facendo?
DS: Certo. Quando me ne accorgo, è quasi una festa.
CS: Il tuo animale interiore?
DS: Quanto interiore? L’aquila.
CS: Il tuo rapporto con la notte: lavori, vivi o fuggi?
DS: La notte è perfetta, la amo.
CS: Hai mai perso qualcuno a causa dell’arte?
DS: “Perso” è una parola grossa. Diciamo che l’arte complica.
CS: Quanto tempo riesci a stare senza toccare il telefono?
DS: Dipende. Ma sicuramente meno di quanto mi piacerebbe. Non lo so.
CS: La persona più creativa che hai incontrato?
DS: Mi viene da dire una cosa un po’ romantica, anzi un po’ nostalgica. Mio nonno era elettricista e faceva presepi con fili di rame del lavoro. Pochi effetti speciali, tanta intensità. Lui non è la persona più creativa che ho incontrato, forse però è la creatività più intensa che ho percepito.
CS: Il tuo posto mentale preferito al mondo?
DS: Ancora da costruire. Lavori in corso.
CS: Il tuo dessert-feticcio?
DS: Sì dessert, no feticci. Forse qualsiasi, se ordinato vista mare?
CS: Ti è mai successo di mostrarti troppo?
DS: Sempre. Ma alla fine, ci sto anche comodo sotto l’occhio di bue.
CS: Hai tatuaggi?
DS: Sì, ma non si vedono. Sono educati.
CS: Qual è la tua serie TV di culto?
DS: Secondo me per appassionarsi e vedere le serie non bisogna innamorarsi di una soltanto. L’ultima che ho visto è Severance.
CS: Il tuo libro-faro?
DS: Il codice di Perelà di Aldo Palazzeschi, che per quanto lo amo non l’ho mai voluto finire. Una cosa che mi capita spesso con i libri.
CS: A che ora ti svegli di solito?
DS: Tra le nove e le dieci. È un orario affettuoso.
CS: Sei più attratto da chi sfugge o da chi resta?
DS: Da Quelli che vanno di Boccioni. Diciamo da chi si muove. Le linee oblique mi affascinano.
CS: Hai mai lavorato solo per compiacere qualcuno?
DS: Certo. Non lo dico con orgoglio, ma con onestà.
CS: Preferiresti essere dimenticato o frainteso?
DS: Frainteso. È più vivo.
CS: L’arte ti ha salvato o fregato?
DS: Salvato fregandomi. Sono grato e sospettoso allo stesso tempo.
CS: Cosa pensi che sparirà nei prossimi cinque anni?
DS: La democrazia. Anche se spero di sbagliarmi.
CS: Hai mai fatto qualcosa di imbarazzante in pubblico?
DS: Cinque gin tonic e lo show inizia.
CS: Se non facessi arte, cosa faresti?
DS: Lavorerei da Tecnomat, o Leroy Merlin. Non scherzo.
CS: Quanta estetica c’è nel tuo dolore?
DS: Basta un nome per aprire una voragine: Alexander McQueen.
CS: Hai mai desiderato smettere di fare arte?
DS: Sì. Ma poi mi passa.
CS: Dove ti vedi a 70 anni?
DS: Spero con una buona vista… o almeno con occhiali che mi stiano bene!
CS: Qual è il film che ti ha cambiato la temperatura del corpo?
DS: “Il nastro bianco” di Haneke. Una febbre al contrario: un freddo che resta dentro, silenzioso, e ti fa intuire che qualcosa si è incrinato per sempre.
CS: Chi sei quando nessuno ti guarda?
DS: Uno specchio appeso al muro. Immobile e un po’ inutile.
CS: Ti capita mai di parlare da solo?
DS: Sì. Anche ora, tecnicamente.
CS: Qual è la tua abitudine meno sana?
DS: Dormire con la bocca aperta.
CS: Vacanze ideali: totale silenzio o eccesso performativo?
DS: Per organizzarle eccesso performativo, per viverle totale silenzio.
CS: Hai animali domestici?
DS: Sì. Fanno parte del caos funzionale.
CS: Il tuo segno zodiacale. Ci credi?
DS: Sì, solo quando dice cose belle.
CS: La cosa più impulsiva che hai fatto per amore?
DS: Comprare una torta di compleanno inopportuna.
CS: Il tuo designer preferito, se ne hai uno.
DS: John Galliano. L’eccesso come verità.
CS: Cos’è per te la vergogna?
DS: Una stanza con le tende semiaperte. La possibilità di essere visti mentre non si è pronti. O forse il dubbio di esserlo sempre.
CS: Il messaggio in bottiglia che getteresti nel Mediterraneo?
DS: Il biglietto da visita che mi ha fatto per scherzo un amico: “Davide Stucchi – Poetessa”.
CS: Qual è stato il luogo più inatteso dove hai trovato bellezza?
DS: La Calabria. Senza spiegazioni, per fortuna.
CS: C’è qualcosa che ti riprometti sempre di non fare più?
DS: Sottovalutare l’effetto domino di una piccola scelta, tipo dire “vengo anch’io”.
CS: Hai mai lavorato con qualcuno che ti ha spiazzato?
DS: Positivamente? Vorrei succedesse più spesso.
CS: Ti ricordi l’ultima volta che ti sei sentito ridicolo?
DS: Fortunatamente, per me è importante esserlo un po’ sempre.
CS: Cosa vorresti che si dicesse di te, tra molto tempo?
DS: “Mi manca.” E detto bene.
Non è un’intervista. Non è un profilo.
È un autoritratto sparso, in forma di domande.
Un modo per perdersi dentro le persone, nei loro gesti, nei loro oggetti, nelle loro ossessioni.
Una mappa del visibile e dell’invisibile.
Un curriculum emotivo, estetico, personale pensato da Cristiano Seganfreddo.
In ordine libero, come il pensiero.