Hands Over Milan. Una Conversazione con Giorgio Armani di

di 4 Settembre 2025

In ricordo di Giorgio Armani Flash Art Italia propone la conversazione tra Giorgio Armani e Gea Politi, originariamente pubblicata in Flash Art International n 302, Maggio-Giugno 2015

Made in Milan (film still, directed by Martin Scorsese, 1990).

Gea Politi: Vorrei iniziare parlando di collaborazioni e partnership, una costante nel suo modo di lavorare a partire dagli anni ’80. Nel 1999 ha prodotto il documentario My Voyage to Italy di Martin Scorsese. Ha anche lavorato con il regista a spot pubblicitari per il suo brand di moda. Nel corso della sua carriera ha collaborato con altri stilisti, registi, architetti e non solo. Ha sempre avuto in mente questa idea di collaborazione, fin dall’inizio? È anche per questo che ha deciso di aprire uno spazio espositivo a Milano?
Giorgio Armani: Penso che la collaborazione sia l’essenza di ogni lavoro creativo; il dialogo e lo scambio di idee sono sempre un arricchimento. Nella mia carriera ho avuto il privilegio di entrare in dialogo con grandi artisti, attori, architetti e registi, e ho scoperto anime affini. Da questi dialoghi è nata anche l’idea dell’Armani/Silos, che non vuole essere un museo nel senso classico del termine, né una semplice celebrazione dei miei successi, ma uno spazio dove i capi e gli accessori esposti, e tutto il patrimonio di saper fare che ho acquisito nel tempo, possano diventare oggetto di studio e riflessione, e uno stimolo per chi desidera intraprendere questa professione difficile ma entusiasmante.

GP: Che cambiamenti ha visto nel mondo del lavoro a Milano e nella professione di stilista da quando ha iniziato, nel 1975? Questi cambiamenti sono dovuti soprattutto alla politica, o anche a mutamenti sociali?
GA: La politica c’entra poco. Il sistema della moda è cambiato radicalmente, così come è cambiata la società nel suo insieme. Oggi tutto si muove molto velocemente, e a dominare è la legge del profitto, che soffoca la creatività e la voglia di rischiare. La moda è ormai un sistema che non lascia spazio all’inventiva che io ho potuto avere agli inizi. È tutto pianificato, e c’è pochissimo margine per quegli errori che ti aiutano a crescere. Ma sono ancora convinto che, con impegno, si possa riuscire a trovare la propria strada. Serve solo determinazione.

GP: Sappiamo tutti che Milano è una città difficile da conquistare. Lei è praticamente milanese: cosa pensa della città oggi, e quanto il suo successo internazionale ha contribuito a rendere il suo marchio uno dei pochi davvero milanesi degli ultimi quarant’anni?
GA: Milano è certamente una città difficile, ma è anche aperta a chi ha la volontà e la determinazione per conoscerla. È una città che negli anni si è molto evoluta e ha continuato a crescere; in questo senso incarna perfettamente l’idea stessa di modernità. Per quanto mi riguarda, ho un rapporto privilegiato con la città di Milano. Ne respiro la sobrietà e l’operosità, che ho tradotto in uno stile internazionale. Posso dire che Milano ha contribuito al mio successo. E ho un dialogo continuo con la città, che non smette mai di ispirarmi.

GP: È ancora interessato a seguire il lavoro dei giovani stilisti? Chi sono, secondo lei, le figure più interessanti nella moda di oggi?
GA: Sono molto curioso del lavoro delle nuove generazioni, tanto che ho deciso di sostenere i talenti emergenti ospitando ogni anno nel mio teatro la sfilata di un giovane designer. Sono io a scegliere gli stilisti, e spesso si tratta di creativi molto lontani da me per visione, approccio e stile; ancora una volta, ritengo il dialogo fondamentale. Mi incuriosisce il lavoro di chi dimostra di avere un punto di vista audace, originale, e non ha paura di esplorarlo e di esprimerlo con coerenza.

GP: Milano è piena di istituzioni fondate da grandi stilisti, come la Fondazione Trussardi e la Fondazione Prada, entrambe orientate verso l’arte contemporanea. Armani/Silos si occuperà principalmente di moda e design, oppure anche di arte? E, in tal caso, di quale genere?
GA: Credo che la diversificazione sia un’espressione di ricchezza. La Fondazione Trussardi e la Fondazione Prada svolgono un lavoro eccellente nell’ambito dell’arte, e non ho intenzione di entrare in quella nicchia. Vedo Armani/Silos come un centro di ricerca incentrato sulla moda e sul design; si occuperà anche di forme artistiche affini, come la fotografia e il cinema, che sono parte integrante della mia visione e si inseriscono perfettamente in questo concetto di spazio espositivo. Vorrei sottolineare e sviluppare l’identità dello spazio come luogo vitale per gli studenti, perché Armani/Silos nasce con un intento costruttivo.

GP: La città di Milano accoglie favorevolmente il progetto Armani/Silos? Quali istituzioni hanno sostenuto con più energia la sua visione?
GA: Il progetto è stato accolto con entusiasmo dall’amministrazione comunale, che lo includerà nella rete museale promossa dalla città. Insieme svilupperemo un programma culturale ben strutturato, in collaborazione con il Comune.

GP: Cosa prevede per la prima mostra? E quali altri stilisti pensa di ospitare all’interno dell’Armani/Silos?
GA: La prima presentazione sarà un’ampia mostra dedicata al mio lavoro, nel senso più esteso, non in ordine cronologico ma articolata intorno a temi che da sempre sono fondamentali per me: dall’esotismo all’uso del colore e del non-colore. È ancora presto per dire cosa prevedranno le mostre successive.

GP: Tra le tante iniziative previste all’Armani/Silos ci sono anche i workshop per giovani stilisti. Pensa che ci sia bisogno di un nuovo modello formativo, oltre alle scuole di moda già presenti a Milano? Quale sarà il ruolo educativo dello spazio?
GA: Non ho assolutamente intenzione che questo progetto si sostituisca alle scuole esistenti — a Milano ci sono ottime scuole di moda. Quello che vorrei fare, però, è offrire strumenti di ricerca e studio unici, mettendo a disposizione materiale prezioso basato sulla mia esperienza. Armani/Silos sarà, spero, un supporto concreto e documentato alla formazione nel campo della moda a Milano.

GP: Ho visto la sua mostra al Guggenheim di New York nel 2001, che ripercorreva venticinque anni di carriera nella moda. Cosa pensa oggi di quella mostra? C’è qualcosa che cambierebbe, a parte l’aggiunta delle creazioni dell’ultimo decennio?
GA: Penso che quella mostra sia ancora oggi molto attuale, anche perché metteva in evidenza l’aspetto senza tempo del mio lavoro, un elemento che — insieme ai temi che mi ispirano da sempre — sarà evidente anche nella mostra all’Armani/Silos.

GP: In un’intervista ha detto di aver iniziato a disegnare dopo aver visto i bozzetti di Yves Saint Laurent. Oggi, quali artisti o stilisti la ispirano di più?
GA: Mi ispira la realtà: cerco di rispondere a bisogni concreti con una moda concreta ed elegante. Credo che, per creare un linguaggio originale, non si debba guardare troppo a ciò che fanno gli altri, anche se inevitabilmente se ne è consapevoli. Detto questo, ho grande rispetto per Saint Laurent e per Coco Chanel, proprio perché hanno creato un proprio stile partendo dalla vita reale, e non da fantasie assurde destinate a rimanere sulle pagine patinate delle riviste. La moda è degna di questo nome solo quando ha un impatto sulla vita quotidiana delle persone: è stato così per i cardigan di Chanel, per le sahariane e Rive Gauche di Saint Laurent e, mi piace pensare, è così ancora oggi per le mie giacche e i miei completi.

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