Yuko Mohri “Entanglements” Pirelli HangarBicocca / Milano

18 Settembre 2025

In occasione della mostra personale dell’artista giapponese Yuko Mohri “Entanglements” presso l’HangarBicocca, Flash Art Italia propone il testo curatoriale che accompagna il percorso espositivo.

Conosciuta per i suoi intricati e originali assemblaggi recentemente presentati in Italia alla 60. Biennale di Venezia (2024), all’interno del Padiglione del Giappone, Yuko Mohri (Kanagawa, Japan, 1980; vive e lavora a Tokyo) crea sculture cinetiche site-specific che incorporano oggetti trovati e di uso quotidiano, attingendo dall’esperienza di Marcel Duchamp (1887-1968), o strumenti musicali da lei rimaneggiati che vengono connessi a circuiti elettronici in risposta a fenomeni impercettibili, transitori ed effimeri quali gravità, magnetismo, calore e umidità. Questi elementi ambientali casuali e instabili, nello specifico aria, polvere, detriti e temperatura, plasmano le sue composizioni facendole diventare degli ecosistemi organici, all’interno dei quali è centrale la componente sonora.

Mohri ha conseguito un percorso di studi interdisciplinare nell’ambito delle arti figurative alla Tokyo University of the Arts e fin da subito il suo lavoro si è distinto per il rapporto con il suono e la musica. Durante gli anni universitari faceva infatti parte di una band punk chiamata “Sisforsound”, che ha influenzato radicalmente il suo approccio all’arte. Percependo labili i confini tra il mondo visivo e quello acustico, spesso smonta e riassembla strumenti musicali e oggetti elettronici per creare le sue opere d’arte. Influenzata dal movimento Fluxus degli anni sessanta e dalla musica sperimentale, si avvicina anche al lavoro di John Cage (1912-1992) creando con le sue opere una commistione tra arti visive e musica di ricerca e portando nuove prospettive e modi di interagire con il mondo circostante.

In Pirelli HangarBicocca espone opere realizzate dalla metà degli anni duemila fino ai progetti più recenti, che l’artista aggiorna e sviluppa continuamente modificandoli nel tempo e adattandoli allo spazio in cui vengono presentati. Come racconta l’artista, “Percepisco le mie installazioni come uno spazio organico, contorto e intrecciato attraverso le parole chiave: ‘errore’, ‘improvvisazione’ e ‘feedback’”. L’artista ha inoltre una sofisticata capacità di rendere accessibili mondi spesso percepiti di nicchia quali la musica sperimentale e l’arte contemporanea, introducendo elementi familiari della quotidianità e di uso domestico come utensili da cucina e guanti per lavare, talvolta in modo ludico, con cui il pubblico si può rapportare. Grazie ai materiali da lei impiegati, Mohri riesce ad introdurre un’ironia sottile e una dimensione giocosa quasi nascosta, attingendo ai suoi riferimenti culturali (anche provenienti dalla filosofia e dalla cultura pop), iconografici e sonori (dall’arte cinetica alle sperimentazioni sul suono).

La mostra “Entanglements”, a cura di Fiammetta Griccioli e Vicente Todolí, è la più estesa mostra personale di Yuko Mohri mai realizzata in Europa. Il titolo, letteralmente “intrecci, grovigli”, evoca i legami invisibili e le interazioni complesse che esistono e sussistono tra oggetti, forze, suoni e persone. La mostra esplora dunque come ogni elemento presente appartenga a un sistema interconnesso in cui niente agisce indipendentemente e tutto è parte di una grande rete di relazioni in continua evoluzione. Le sue sculture mostrano, con delicati equilibri, la complessità latente delle strutture naturali e artificiali che compongono il mondo e rivelano il costante flusso di energia che ci circonda.

La mostra in Pirelli HangarBicocca presenta un nucleo di opere appartenenti a diversi suoi corpus di lavori riconfigurate dall’artista per rispondere alle condizioni uniche dello spazio dello Shed. Come spiega Yuko Mohri, “Realizzo le mie opere in modo improvvisato. Non ho la visione di un’intera scultura fin dall’inizio. Voglio sempre valorizzare l’ispirazione ricevuta dal luogo e dall’incontro con esso”. L’artista giapponese crea un’unica scenografia visiva e sonora attraverso una programmazione imprevedibile delle opere presenti per dare vita a un’esperienza collettiva, cinetica e acustica per i visitatori. L’idea guida di ciascuna installazione risiede in un elemento che svolge il ruolo di forza motrice per innescare e attivare un particolare circuito dinamico. In Flutter (2018-25), ad esempio, il fulcro dell’opera è un acquario al cui interno sono posti sensori che captano la luce e l’ombra naturalmente create dai movimenti dei pesci e delle alghe che, a loro volta, diventano stimoli per gli altri elementi che compongono il sistema interdipendente. Il lavoro prende ispirazione dagli esperimenti sonori di John Cage quali Water Walk (1952) e Variations VII (1966), così come da Video Fish (1975) di Nam June Paik (1932-2006).
All’ingresso, il pubblico viene accolto da I/O (2011-in corso). Con riferimento ai termini Input e Output, l’opera rappresenta un ecosistema organico il cui movimento e forma saranno determinati dalle condizioni dello spazio espositivo dello Shed, introducendo così un aspetto di casualità. Rotoli di carta sospesi al soffitto raccolgono delicatamente da terra polvere e altri detriti che vengono successivamente letti da uno scanner e convertiti in segnali elettrici che provocano il movimento di lampadine, strumenti e utensili. Il rimando alla partitura musicale si esplicita nelle tracce che l’ambiente lascia sulla carta le quali, una volta “suonate”, producono determinate reazioni imprevedibili.

Ispirandosi all’ambito musicale, Mohri realizza anche Piano Solo: Belle-Île (2024) in cui l’elemento centrale è un pianoforte modificato e programmato per suonare “da solo”. Il lavoro nasce dall’impossibilità di collaborare, come l’artista spesso fa, con musicisti durante la pandemia da Covid-19. Ritiratasi in una foresta, l’artista vive un momento di riconnessione con la natura e ne registra i suoni: il cinguettio degli uccelli, il fruscio del ruscello, il vento tra le foglie. La natura diventa essa stessa performer e i suoni registrati vengono convertiti e utilizzati come input per il pianoforte che li traduce in composizione musicale. Attingendo dalla tradizione figurativa – il titolo infatti richiama Belle-Île, luogo in cui Claude Monet (1840-1926) realizzò la sua prima serie di dipinti – Mohri proietta un video della cima di quel dirupo riproducendone i suoni che lì ha registrato, con lo stesso intento della furniture music ideata dal musicista Erik Satie (1866-1925). Secondo questo concetto, la musica assume il ruolo di elemento ambientale, al pari dell’arredamento, e non richiede un ascolto attivo, rompendo così con la tradizione concertistica e con la centralità dell’opera musicale come oggetto estetico.

Presentata per la prima volta al di fuori del Giappone, You Locked Me Up in a Grave, You Owe Me at Least the Peace of a Grave (2018) è un’esperienza immersiva in cui suono, luce e movimento si intrecciano in una coreografia ipnotica. L’elemento centrale è una scala a chiocciola rotante e sospesa che introduce un aspetto scultoreo e allo stesso tempo dinamico richiamando il fenomeno astronomico e sociologico del pianeta che gira intorno a un’asse. Attorno, quattro casse distorcono il suono ampliandolo come megafoni e facendolo riecheggiare in tutto lo spazio. Due archetti elettrici (E-bow) svolgono il ruolo di fonti sonore facendo vibrare delle corde per creare diverse armonie e orchestrare suono e luce in un flusso ritmico e cadenzato grazie a un sistema computerizzato. Il titolo deriva da una frase del rivoluzionario francese Louis-Auguste Blanqui (1805-1881), estratta dalla sua opera scientifico-filosofica “L’eternità attraverso gli astri” (1872), che affascinò particolarmente il filosofo tedesco Walter Benjamin (1892-1940). La cosmologia scritta dal rivoluzionario negli ultimi anni della sua vita trascorsi in prigionia richiama l’idea di circolarità, chiave nella pratica artistica di Mohri. In questo spazio, aria e vibrazione, suono e rotazione, rivoluzione e desiderio di una nuova società, e movimento cosmico coesistono in un’unica immagine.

La mostra include anche la celebre serie Decomposition (2021-in corso), presentata nel Padiglione del Giappone alla 60. Biennale di Venezia insieme a Moré Moré (Leaky): Variations (2018-in corso). Il primo gruppo di lavori ha come soggetto il decadimento organico, che l’artista riesce a trasformare in un sistema vivo fatto di suono e luce. Mohri connette della frutta a device elettronici tramite degli elettrodi. In questo modo i frutti, marcendo e perdendo acqua, generano elettricità che, a sua volta, attiva composizioni sonore e controlla il dimmeraggio della luce. Queste variazioni dipendono dal livello di decomposizione e di idratazione della frutta diventando segnali udibili e visibili della natura mutabile dell’opera. Il titolo richiama il termine opposto, “composizione”, utilizzato nell’ambito musicale, centrale nella ricerca dell’artista. Completano l’installazione amplificatori, casse e mobili vintage che rievocano l’atmosfera della natura morta rinascimentale attingendo ancora una volta alla formazione dell’artista nelle arti figurative. Invece, presentato in Pirelli HangarBicocca nella versione Moré Moré (Leaky): Variations (Flow#1, Flow#2, Flow#3) (2018), il secondo corpus nasce come una serie fotografica in cui Mohri ritraeva i modi artigianali e le soluzioni creative con cui il personale copriva delle perdite d’acqua nella metropolitana di Tokyo. Ispirandosi a questa contingenza, l’artista realizza successivamente opere cinetiche con oggetti casalinghi come ombrelli, pentole, spolverini, spesso da lei rimaneggiati, suggerendo la fascinazione dell’artista per il DYI (“fai da te”). Crea dunque perdite d’acqua artificiali con una pompa e un sistema elaborato per catturare e riciclare l’acqua che cade dal soffitto, ispirandosi ai metodi improvvisati che osservava mettere in atto nel contesto urbano giapponese e ripropone l’idea di un circuito, di un sistema di forze invisibili interconnesso che collega gli oggetti.

Infine, Magnetic Organ (2004-in corso), una delle prime opere realizzate dall’artista, esplora i principi della teoria del caos, secondo cui forze minime possono generare perturbazioni in sistemi apparentemente stabili. Due antenne in filo metallico, disposte una di fronte all’altra, generano un campo elettromagnetico. All’interno di questa zona di interferenza, Yuko inserisce elementi mobili, ispirati alle opere cinetiche e lineari dell’artista americano Alexander Calder (1898-1976), come bobine di rame e microfoni che ne alterano l’equilibrio. Il feedback acustico che ne scaturisce diventa una rappresentazione di tutte le forze invisibili che attraversano la materia e regolano il mondo.

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