Studio Raineri & associati di

di 28 Novembre 2025

Introduzione

Forse il titolo è troppo assurdo. O forse è un modo per cominciare.
Raineri è per Yvonne Rainer, che dicono sia di origini biellesi. Si racconta che, quando il padre partì per Ellis Island, disse ‘Rainer’ per sembrare tedesco.
Così almeno scrive Ambra Pittoni in una delle sue mail notturne. Una notizia mai verificata, ma abba-stanza verosimile da sembrare un fatto. Un piano immaginifico su cui leggere questo script.
Rimane solo da capire chi siano gli associati.

Alberto Groja

Ambra Pittoni, Planimetria della casa di Ivana, 2025. Courtesy l’artista

4 NOVEMBRE 2025 ORE 17.00 – INTERNO – IL CORRIDOIO DELLA CASA DI IVANA – UNO SPIRAGLIO DI LUCE ESCE DA UNA PORTA GRIGIA SITUATA IN CIMA A DUE SCALINI. LA PORTA SI CHIUDE. BUIO. VOCI PROVENGONO DALLA STANZA.CI SONO DUE POLTRONE UGUALI NELLA STANZA. ARANCIONI E COMODE. SI TRATTA DI UNA STANZA PICCOLA, QUADRATA, RIVESTITA DI UNA CARTA DA PARATI COLOR MUSCHIO DECORATA CON DELLE FELCI E DEI MINUSCOLI FIORI CHE GUARDATI DA VICINO SI RIVELANO INSETTI. NON HA FINESTRE PERCHÉ SI TROVA NEL CUORE DELLA CASA. DI GIORNO UN MINUSCOLO LUCERNARIO COMPOSTO DA UNA FILA DI MATTONI IN VETRO FA FILTRARE LA LUCE DALL’ALTO. SI DIREBBE UNA CAPPELLA.
UNA VOLTA ALLA SETTIMANA LUI VIENE QUI A PARLARE CON LEI. LEI, HA PROGETTATO QUESTA CASA ATTORNO A QUESTA STANZA. O FORSE LA STANZA HA GENERATO IL RESTO DELLA CASA. PER ENTRARE DEVI SALIRE DUE SCALINI E APRIRE LA PORTA GRIGIA IN LEGNO LACCATO.

– …dimmi hai fatto di nuovo lo stesso sogno?

– si, solo che questa volta usavo della benzina e la casa era un’altra.

– che casa era?

– …ma quel nuovo progetto per l’imprenditore tedesco. Spargevo un rivolo di benzina da un’oliera di acciaio su una moquette molto spessa color crema.

– il progetto ti piace?

– da morire.

– …

– Sai, non credo che sognare di dare fuoco a ciò che faccio nasconda un conflitto con il mio lavoro, anzi.

– beh, mi darai credito però che l’immagine non è delle più serene

– vero, ma non è neanche come sembra

– ovvero?

Lei si tocca i capelli, guarda di lato e piega la testa dalla parte opposta, roteando gli occhi, lo sguardo si fissa in alto a destra (intravede la carta da parati con la coda dell’occhio…le foglie sti-lizzate del decoro si sfocano fino a sembrare code di scimmie).

Lui si guarda le ginocchia, poi guarda le sue e percorre l’interstizio che sta tra la poltrona e il fianco di lei fino allo zigomo destro. Sospira. Pensa che un tempo seduto li dentro avrebbe fumato mille sigarette.

Ambra Pittoni, La Poltrona, 2025. Courtesy l’artista

I pensieri affiorano alla bocca di lei.

– non sono io, o meglio non è una mia volontà, ma è la casa in quanto casa che non può essere tran-quilla. Non è quello che immaginiamo. Per questo motivo io ho bisogno di sapere che la casa va a fuoco, ho bisogno di immaginarmi l’evento piromane, l’autocombustione di un luogo, la scintilla nella notte, le lingue arancioni e gialle che lambiscono le finestre.

Annuisce alle sue parole immaginandosi il rivolo di fumo fine come seta che farebbe la sua siga-retta se ce l’avesse tra le dita con il gomito appoggiato sull’avambraccio della poltrona

– per disegnare una casa ho bisogno di immaginarmela incenerita, derelitta…

INTERNO, POMERIGGIO – BUIO, 17:20, CORRIDOIO, QUALCUNO OSSERVA LO SPI-RAGLIO DI LUCE CHE FILTRA DA SOTTO LA PORTA. DENTRO ALLA STANZA LA CONVERSAZIONE CONTINUA. SI SENTONO FRAMMENTI DI CONVERSAZIONE PROVENIRE DA DIETRO LA PORTA

– …così che la costruzione possa avvenire a partire dalle ceneri.

– anche casa tua l’hai pensata in questo modo?

– si, è qui che ho preso coscienza del mio metodo (se così posso chiamarlo), che poi cos’è un metodo? Se non una ricetta. Infatti no, non posso chiamarlo metodo perché non è una ricetta. Allora dirò piuttosto…

– tecnica sembra più appropriato?

– infatti, una tecnica si affina, si ridefinisce, si discute, alla ricetta invece non ci pensi e se ci pensi ti annoi. Per tornare alla tua domanda: ho iniziato tutto dalla stanza in cui ci troviamo: unica parte so-pravvissuta all’incendio. è da qui che bisogna disegnare il resto. anche immaginare come abitare le ceneri.

il y à là cendre, traduis, la cendre n’est pas. Elle reste de ce qui n’est pas, pour ne rappeler au fond friable d’elle pour ne rappeler au fond friable d’elle que non-être ou imprésence…Il y là cen-dre, voilà qui prend place en laissant place, pour donner à entendre:rien d’aura eu lieu que le lieu…mi ricordo solo questo…

1

– e il fuoco è una tentazione impossibile, lì lì per accendersi da un momento all’altro. La cenere è uno stato di grazia, esiste senza gravità. Forse è per quello che agli umani piace fumare? Ci sentiamo parte di questo stato incenerito della grazia.

– la cenere ci assomiglia

– Dunque da questa stanza parte tutto, perché è l’unico posto sopravvissuto, immaginati queste pol-trone carbonizzate, il soffitto nero e fuligginoso con un buco da cui si vede il cielo, un pezzo del soffitto è per terra.

17.30 INTERNO, BUIO, CORRIDOIO, QUALCUNO È APPICCICATO ALLA PARETE E LA PERCORRE STRISCIANDO, IL FRUSCIO SI PERCEPISCE ANCHE DENTRO LA STANZA

– cos’è questo rumore?

– non ti preoccupare è un ragazzo che mi aiuta in casa, arriva più o meno a quest’ora

– cosa fa pulisce i muri?

– No ci passa le mani, più o meno così

Lei mostra un movimento lento, circolare e molto delicato con le mani

– e con che scopo?

– l’idea è di percorrere i muri apticamente. Due anni fa è stato stagista allo studio e a un certo punto si è fissato con l’idea di un’architettura aptica, così mi ha chiesto di venire a casa ad aiutarmi nelle fac-cende domestiche, dice che lo aiuta a capire le necessità dell’abitare, del vivere e quindi costruire

– …original… – dice lui con tono velatamente ironico

– decisamente. era rimasto colpito da una lettura che avevo condiviso in studio

– fai ancora i tuoi readings?

– si, anche se un po’ più sporadicamente. Quella volta avevo condiviso un testo di Maurice Maeter-linck, un poeta e sceneggiatore belga, che adoro, tra l’altro, lui si che ha riflettuto sul dentro e sul fuori! E tra le altre ha anche scritto un libro sulla vita delle termiti. C’è un passaggio in cui parla del-le loro architetture. Sai che sono cieche e costruiscono le loro abitazioni dal dentro?

– chissà se costruire da dentro ti fa dimenticare il fuori, o meglio cosa diventa il fuori se tutto parte da dentro?

– non ti saprei veramente rispondere, ma quando ho letto questo passaggio mi è venuto in mente che i vermi digeriscono prima di mangiare, credo distribuiscano delle secrezioni sul terreno che funzio-nano da digestivo, poi ingoiano e si nutrono. come se noi aspergessimo i nostri piatti con acidi ga-strici prima di mangiarli

– il che potrebbe evitare la gastrite a un sacco di gente suppongo…me compreso

– l’ho trovato illuminante. e mi fa pensare che dare fuoco a una casa prima di costruirla, abbia com-pletamente senso, così come le pratiche dello stagista. Costruire da dentro, senza pensare al fuori. Delle architetture che si piegano e ripiegano e dispiegano che alla fine diventano per forza anche un esterno, che però testimonia di vita intima, di intestini, di infrastrutture corporee soffici e di processi aptici.

Lui accenna un sorriso e si alza. Vorrebbe una finestra da cui guardare, ma non c’è. Allora fa un giro della stanza, si avvicina alla lampada da terra, sospira. Sembra nostalgico.

– faccio un altro tè?

– Si grazie

Lei si alza, accende il bollitore sul tavolino, svuota le foglie del vecchio tè nel cestino. Entrambi attendono che l’acqua del bollitore bolla. Dal lucernario filtra la luce arancione del lampione in strada che si è appena acceso. Restano fermi in piedi, vagano con lo sguardo cercando di sfuggirsi.
Il bollitore arriva al suo climax, lei rompe il silenzio

– ancora tè nero?

– si grazie

– aggiungo latte?

– no va bene da solo

si riseggono sulle poltrone, tengono in mano le tazze fumanti, c’è esitazione nel ricominciare a parlare, poi lui chiede:

– ma quanto tempo ci mette a fare queste “faccende di casa”? e se posso chiedere, perché non le fa a casa propria?

– ma che t’importa? – sbuffando leggermente

18:00 INTERNO, PENOMBRA, una LUCE SOFFUSA PROVIENE DA UNA FINESTRA SITUATA IN FONDO AL CORRIDOIO, DIETRO L’ANGOLO – È LA LUCE GIALLASTRA DEI LAMPIONI

Lo stagista sta percorrendo l’angolo del corridoio con tutto il corpo, va avanti e indietro, fer-mandosi sempre in zone diverse ed esercitando diversi tipi di pressione.
grazie ai suoi vestiti attillati gli viene facile entrare in comunicazione con la tappezzeria. I piedi scalzi accarezzano lo zoccolino di palissandro. In alcuni momenti tiene gli occhi chiusi, in altri ne apre solo uno.

– non si sente più

– cosa?

– lo stagista

– forse è andato via

– a me non sapere se qualcuno sia o no in casa mia darebbe troppo fastidio

– devo ammettere che all’inizio lo trovavo inquietante, ma ti assicuro che se lo conoscessi capiresti. e poi sai, ti devo confessare che a volte a me piace far finta di non esserci, provare a scomparire, ad aleggiare…

– tipo?

– ad esempio nel bel mezzo di una cena mi nascondo da qualche parte, quasi sempre nell’armadio. Lascio uno spiraglio, che mi concede una visuale parziale, ma abbastanza generosa. A volte c’è solo il gatto che si piazza li davanti, dandomi la schiena, e le orecchie tese verso di me, percepisce il mio sguardo magnetico.

– Tipo raggio laser?

– Si, io, un felino gigante in agguato con sguardo di fuego

ridono

– altre volte invece c’è una cena, gente in giro per casa, io mi alzo per andare in bagno e puntualmente mi si presenta la tentazione di evaporare. Se cedo, entro nuovamente nell’armadio e resto a guardare la mia casa come se fossi un’intrusa. un nulla e diventi clandestina.

– come il tuo stagista adesso, anche se ha il tuo permesso, per me è un clandestino, perché non so che faccia abbia, ma ne percepisco la presenza.

INTERNO DELLA STANZA. SI SENTONO DEI PASSI FELPATI PROVENIRE DAL CORRIDOIO.

– li senti i passi?

– si

– Vedi che non se ne è andato?

– embhè? Magari sta facendo stretching

– fammi controllare dai

– no per favore, non roviniamogli il lavoro e poi non mi hai neanche raccontato di come procedono le cose

– ok, ma se sento ancora un rumore vado a controllare

– va bene, ma adesso dimmi di te e Gianni, avete preso una decisione?

– ti dirò, una montagna di tentennamenti, poi alla fine abbiamo deciso di provare a vivere insieme

– in quella casa che mi avevi mostrato?

– si firmiamo l’atto la settimana prossima

– e non mi avevi detto nulla!

– guarda è successo tutto così velocemente

– avete già deciso come restaurarla?

– giustamente pensavo di chiederti un’opinione

– molto volentieri

– ma questo significa che darai fuoco anche a casa mia?

– beh certo, significa che cercherò il luogo che sopravviverà alle fiamme, la stanza da cui tutto verrà generato, è un gesto architettonico apotropaico

– dici che addirittura protegge dalla malasorte?

– un pochino si, secondo me. sorride ironica

INTERNO CORRIDOIO, PENOMBRA. LO STAGISTA CAMMINA LENTAMENTE VERSO L’USCITA. COSÌ LENTAMENTE CHE SEMBRA FERMO. SOTTO I SUOI PIEDI IL PAVIMENTO SCRICCHIOLA.

DENTRO LA STANZA:

– hai sentito?

– si, scricchiola il pavimento, ma guarda che anche il gatto fa scricchiolare il pavimento a volte.

– basta voglio andare a vedere

– ma sei proprio angosciato da questa cosa!

– non so se parlerei di angoscia, ma si non sto tranquillo

– dai lascia perdere, in genere a quest’ora sta uscendo

– no, basta e ti dirò anche che sarei curioso di conoscerlo

– va beh se proprio vuoi, vai, ti chiedo di essere delicato

cominciano a parlare sottovoce senza nessun motivo

– ohh che liberazione!

– curioso e angosciato allo stesso tempo, secondo me il tuo segno cinese è cane

– cos’è un’offesa?

– no, assolutamente è un segno bellissimo, te lo dicevo perché le persone di quel segno hanno spesso l’istinto di controllare che le cose siano in ordine per il gruppo o nella loro dimora, nel senso protet-tivo del termine

– mhh ok, non saprei, guarderò e ti dico, adesso vado a fare un controllino

lui si alza con estrema cautela , poi apre la porta della stanza, solo per una fessura per poter passare, si ferma sugli scalini per abituare gli occhi al buio. gli occhi cominciano a vedere nella penombra. scende. fa qualche passo leggero e silenziosissimo fino a quando finalmente gira l’angolo…

Ambra Pittoni, Single Eye, 2025. Courtesy l’artista

Una nota o parlare davanti e dietro lo specchio

Se questo testo in forma di script cinematografico diventasse un film sarebbe un huis clos, ovvero quel genere cinematografico i cui film vengono girati interamente o quasi in interni, a volte solo in una stanza. Spesso sono caratterizzati da lunghi dialoghi, da situazioni introspettive e di indagine esisten-ziale. Tra i miei preferiti ci sono My dinner with André (1981) di Louis Malle, e The connection (1961) di Shirley Clarke. Il primo una cena e una discussione infinita in cui due punti di vista molto diversi sul teatro, e conseguentemente sulla vita, entrano in conflitto. Il secondo un documentario fittizio su un gruppo di musicisti jazz tossicodipendenti che aspettano l’arrivo del pusher.

Studio Raineri & Associati è il frutto e la protuberanza di una ricerca sulla relazione tra spazio e pro-cessi di soggettivazione e sull’angoscia come principio epistemico. In particolare, il mio interesse si concentra sulla labilità di spazi e soggetti, sullo scivolamento dell’Heimlich nell’Unheimlich: la casa calda che cessa di essere accogliente, la soggettività dispossessata delle certezze che inventa modi di vita nuovi. Nell’ambito della mia ricerca (si tratta di un dottorato art – based) le chiamo (in inglese) Technologies of dwelling – Tecnologie del dimorare – per risuonare con le Tecnique de soi – Tecniche del sè – di Michel Foucault e immagino che questi slittamenti del familiare nel non-familiare generino modalità del conoscere ed estetiche dell’esistere.

Nel suo lavoro l’architetto Ivana Raineri si interroga sull’invenzione di tecniche per abitare nella casa non casa, mi immagino anche che sul suo desktop abbia una cartella di file intitolata: Reinchanting the Unheimlich e che tra le varie sotto cartelle ce ne sia una con gli scritti di Lacan sull’angoscia. Nella teoria Lacaniana l’angoscia si scatena dall’incontro con il desiderio dell’altro che però non si disvela: qualcosa è li, ci desidera, ma non è possibile definirlo, così come quello che noi siamo per l’altro resta opaco. Il desiderio però è reale, e l’incontro con un reale che non si disvela è angosciante. Li dentro Ivana ci vede un potenziale enorme, processi di conoscenza da coltivare nelle trame profonde dell’essere, la casa incenerita permette di abitare in maniera critica, dove non si può essere sicure che il suolo su cui camminiamo regga ancora il nostro peso e neanche se sia possibile camminarci come prima. Allora bisogna inventare altri modi di camminare, di far si che l’architettura supporti deambula-zioni interessanti. Nella sottocartella movies c’è Offret (Sacrificio) (1986) di Andrej Tarkovskij, quello che ha fatto nascere tutto. Nel film Alexander promette di rinunciare a tutto pur di scampare a una guerra nucleare mondiale che viene annunciata dai giornali e dalla televisione. Alla fine del film il disa-stro nucleare è scampato e per mantenere la promessa fatta, agli dei o ai demoni, Alexander da fuoco alla propria casa.

Parlando del rifiuto di sistemarsi (to settle down), Moten e Harney usano la parola homelessness. Uno spazio dell’undercommon è il corridoio: elemento viscerale della casa, luogo in cui ci si trasforma ma non si sosta, quasi sempre scabro e senza finestre. È in questo spazio che lo stagista fa i suoi esercizi: pratica aptica per un’architettura cieca e che non ha progetto esterno. Il corridoio, luogo reietto e in-quietante delle case, è la scuola dello stagista.

But the student has a habit, a bad habit. She studies. She studies but she does not learn. If she learned they could measure her progress, establish her attributes, give her credit. But the student keeps studying, keeps planning to study, keeps running to study, keeps study-ing a plan, keeps elaborating a debt. The student does not intend to pay.2

Lo stagista, che è invisibile, incarna il fallimento di tutti i capitalismi, attraverso le sue pratiche e micro politiche incarna tutte le promesse non mantenute.

Evocare il modo di muoversi dello stagista serve più a farsi un’idea dei suoi desideri che della sua ap-parenza, inoltre non sapere cosa vuole e da chi lo vuole può essere inquietante, infatti davanti all’incertezza l’amico di Ivana comincia a spazientirsi… Lo stagista non è ne soggetto ne oggetto. È un abietto. Ni objet, ni sujet, mais abject.

S’il est vrai que l’abject sollicite et pulvérise tout à la foit le sujet […] L’abjection de soi serait la forme culminante de cette expérience du sujet auquel est dévoilé que tous ses objets ne reposent que sur la perte inaugural fondant son ’être propre. Rien du tel que l’abjection de soi pour démontrer que toute abjections est en fait reconnaissance du manque fondateur de tout être, sens, langage, désir. On glisse toujours trop vite sur ce mot de manque, et la psychanalyse aujourd’hui n’en retient en somme que le produit plus ou moins fétiche, l’”objet du manque” […] l’abjection se construit de ne pas reconnaitre ses proches: rien ne lui est familier, pas même une ombre de souvenirs.3

In Pouvoirs de l’horreur (1983) Julia Kristeva traccia delle condizioni esistenziali che sia Ivana che lo stagista guardano con interesse, chiedendosi cosa può dirci l’abiezione sulla rimodulazione dell’esistenza, della casa non casa, del potenziale dei corridoi, della piromania preventiva… tenere uno sguardo critico su ciò che non si (s)muove, ma anche sul suo contrario: il movimento isterico e vuoto che non costruisce più senso, sulle parole che non semantizzano più il mondo perché sono pacchetti già fatti (la ricetta). Il linguaggio è la casa4. E la casa è sempre il luogo del fantasme (in francese indica il desiderio), della vita che potrà avvenire grazie ai suoi spazi, ma anche di un interno che può essere violato o divenire a sua volta un inferno, o cadere in rovina o appunto prendere fuoco. La casa è sem-pre una casa dei fantasmi. E l’architettura, anche nelle sue forme più umili e basiche, ha un ruolo im-portante nel sostenere e produrre i fantasmi che abiteranno una dimora e le persone che ci abitano den-tro. Scrivere di spazi è coreografico, per il movimento e lo sguardo che crea luogo (questo viene bene in inglese: sight –> site) e per il potere affettivo mutevole e mutuale, sempre ambiguo, sempre in fri-zione.

L’angoscia allora si mescola alla delizia, dalla finestra si vede il cielo, ma può anche essere un salto nel vuoto. C’était le 4 novembre 1995. Gilles Deleuze. 1, rue de Bizerte. Paris. II étage.

Altri articoli di

Ambra Pittoni