Alis/Filliol è un duo composto da Andrea Respino e Davide Gennarino. Il nome del duo è l’unione dei due cognomi delle rispettive madri. In queste righe ognuno degli artisti intervista la propria mamma a proposito dei loro lavori.
Descrivi il primo lavoro che ti viene in mente.
Rita Alis: La pietra nera (Nero Assoluto Calco, ndr). Non so come spiegarti ma mi fa pensare al camminare. Perché dico camminare? Tu mi hai spiegato che è la fotografia di una scultura, una pietra colorata di nero, ma io continuo a vedere qualcuno che corre veloce. Per me è una salita verso la montagna. Non una passeggiata, ma qualcuno che vuole scappare, salire sempre più in alto. Qualcuno che sta facendo fatica. Ci vedo una persona, capisci. Tu mi porti a capire meglio quando mi spieghi, ma a quel punto io non so a cosa pensare. Io ci vedo questo, ma probabilmente non c’entra niente con quello che avete fatto. Mi dici che per fare la fotografia siete saliti in una cava di marmo, scavata nella montagna. Perciò io penso che abbiate osservato e cercato, come quando si cammina in un posto nuovo. Secondo me cercavate una pietra grande come voi. È una bella fotografia comunque, da guardare. Se dico che un quadro è bello, in questo caso forse lo posso dire allo stesso modo. Che si capisca o no è uguale, mi fa vedere delle cose lo stesso. Magari vedi qualcuno che sale con fatica, oppure pensi: che s’arrangi. Dipende da cosa hai dentro.
Parlami di altri lavori a tua scelta.
RA: I guanti (Destro diritto, destro rovescio, ndr), mi hai detto che li avete usati veramente. Non me lo aspettavo da voi, che siete scultori. Non li adopero neanche io quando vado a cavare l’orto. Non mi riesce di lavorare con i guanti. Però possono comunicare quello che dici. Non subito magari. Ma se ci penso bene ha senso vedere i guanti, perché fanno parte del lavoro delle persone. Del fatto che ti stanchi… ti consumi, come dici tu. Le cose ti consumano, le pietre ti consumano, sì! E le mani sono vecchie in effetti. Le mie poi sono vecchissime. Nelle mani si vede proprio che sei figlio mio. Mi piace che siano solo due.
Il lavoro con le palle di creta (Calco di due corpi in movimento nello spazio, ndr), da come me lo hai spiegato, è uno sfogo secondo me. Non so. Dimmi tu. Tu spari via qualcosa. Delle piccole pietre fatte di creta. È buffo immaginarvi. Ma come vi vengono queste idee? Qua forse avete pensato ai giochi che si fanno da ragazzi, come le palle di neve. La forma però è un po’ angosciante, tutta imprecisa, e fredda. Se fosse fuori, all’aperto, forse lo sarebbe di meno. Per angosciante voglio dire che non trasmette tranquillità. Come questa marroncina (Occupare meno posto possibile, ndr), anche lì c’è quel senso di sporco, di impreciso. Anche fuori, all’aperto, puoi vedere delle forme imprecise, ma in quel caso è diverso. Mi viene in mente l’alveare. Tu la chiami scultura questa (Occupare meno posto possibile, ndr), ma qui la scultura è dentro. Quello che vedi nelle sculture tradizionali in questa è dentro. Una scultura che non puoi vedere.
Gli scatoloni (“Fort/da”, a cura di Alis/Filliol, CARS, ndr)… c’è un labirinto, c’è un’entrata e un’uscita. Ah! OK: l’entrata è la stessa dell’uscita in questo caso. Va bene. Ma che a me sembri meno bello non vuol dire. Magari a qualcuno piace invece. Mi viene da pensare alla fatica di fare il percorso, da parte della gente che è venuta a vedervi. Anche il divertimento, è vero. Forse non mi è chiaro come avete fatto a farlo, se c’era una logica. Perché un labirinto avrà una sua logica…Mi parli di una logica della separazione delle opere e degli spettatori. E questa era la logica. Non so, forse avrei dovuto vederla, esserci. Sì! Ecco! Questa è un’opera dove bisogna esserci. Altrimenti a me non parla.
Secondo te perché ti chiedo di parlarmi del mio lavoro?
RA: Perché usi il nome della mia famiglia. Speriamo che ti porti bene. Io prego spesso per voi. Qualcosa da dire a voi due ce l’avrei. Secondo me siete troppo chiusi, dovreste spaziare di più. Se io ti dico sembra un alveare… uno si mette a spaziare. Con la testa. Siete troppo concentrati. Sì, dovreste osservare di più a volte. Anche se già lo fate, lo so. Andare in un bosco da soli a osservare. Io con l’alveare mi sono proprio incantata, per la forma. L’ingegno di questi insetti, il modo con cui si muovono e fanno le cose. Credo che andare a osservare abbia a che fare con il vostro lavoro. Se vado in campagna e trovo un sasso, lo raccolgo, lo porto a casa. Ma se trovo un pezzo di nastro adesivo lo lascio stare lì.
Descrivi il primo lavoro che ti viene in mente.
Marilena Filliol: Il lavoro della scrittura ripetuta (Paesaggi a scavare, ndr) a me è piaciuto un sacco. Mi è piaciuto per diverse ragioni. Per esempio, perché usi la scrittura, la parola scritta proprio a mano e io adoro la grafia. Ho trovato strano e interessante che adoperassi la grafia per fare una descrizione di un paesaggio, oppure di un ambiente chiuso oppure, non so, dei passanti… la descrizione di una fettina di mondo. Di ciò che ti sta intorno mentre scrivi. L’ho trovato interessante perché è una normale descrizione oggettiva, che avrei potuto fare io, ma la tua non è leggibile nel senso che ci passi sopra tante volte che diventa simile ai geroglifici. Una cosa strana. Per cui diventa quello che vuoi, diventa nulla. Poi mi hai spiegato che per farlo hai inciso delle tavolette di plastica e le hai stampate. Non me lo ricordo più bene. Ma alla fine non importa più se queste stampe descrivono un ambiente chiuso oppure chissaché. Non mi interessa, invece mi piace l’idea di una descrizione che diventa illeggibile e che il prodotto finito sia geometrico, abbia una sua simmetria. Mi piace il nero su bianco. È una cosa che metterei in casa.
Parlami di altri lavori a tua scelta.
MF: Vediamo… per esempio, quello lì delle mani, cioè volevo dire dei guanti (Destro diritto, destro rovescio, ndr). Intanto non si capisce che uno è diritto e l’altro è rovescio. Se non lo leggessi non me ne accorgerei. Mi sembrano due diritti di due paia di guanti. Invece dal titolo capisco che ne hai rovesciato uno per farne due destri. Perché? Per sovrapporli? Ma non sono perfettamente sovrapposti. Allora mi viene da pensare, forse, siccome lavorate in due, avete voluto dar l’idea che siete due mani destre che lavorano a un lavoro… può essere. Poi i guanti sono usati, si vede, ma non sono rovinati. Voi li avete bucati col chiodo e mi fa un po’ senso quel chiodo lì. Mi sembra una cosa che ferisce… forse non era il caso, forse potevate incollarli al muro in qualche altro modo. È come se ci fosse un chiodo nel polso. Comunque, l’effetto cromatico è bello per com’è fatto, anche il bordo rosso.
Di questo non saprei che dire (la serie Ianus, ndr), forse mi lascia meno coinvolta nel senso che… beh, so che è stato fatto al buio, toccando l’uno il volto dell’altro senza vedervi. È interessante. Ma… sai cosa? Quei troppi colori con cui sono state realizzate le teste mi disturbano un po’. Mi sembra eccessivo. Una scelta che toglie chiarezza alla scultura, ai lineamenti. Sarebbe stato molto meglio se aveste usato un colore solo. Le sculture di cera invece mi piacciono tutte (la serie “Fusione a neve persa”, ndr). Mi ricordo che per certi lavori avete preso dei grossi bidoni di plastica; li avete riempiti di neve, l’avete forata in diversi punti poi ci avete colato la cera e, questa, col suo calore ha sciolto la neve e si è creata dei percorsi. Ecco cosa mi viene in mente, cioè che poi le cose vi scappano di mano nel senso che vanno dove vogliono. Il prodotto si vedrà dopo. Mi ricordo quella sera in cui ho visto la prima opera… non so più quale, mi sembra quella lì, la rossa. Quando la neve si era già sciolta ed era rimasta la scultura di cera capovolta nel bidone pieno d’acqua. E a me era piaciuta molto la suggestione di questo lavoro. Io l’avrei lasciata così nell’acqua. L’avrei messa in una teca trasparente, eventualmente illuminata. Sembrava, non so…tipo una caverna sotterranea, stalattiti, stalagmiti… Forse perché la illuminavi con la pila fin dentro l’acqua. Ecco, con quella luce della pila nell’acqua buia mi suggeriva l’idea del corallo.
Secondo te perché ti ho chiesto di parlare del mio lavoro?
MF: Mah… forse per sapere quello che pensa una persona qualunque. Una persona qualunque in quanto a competenze. Io non capisco molto il discorso dell’arte contemporanea, l’unica molla d’interesse che ho è il fatto di sapere che dentro a questo discorso ci sei tu. Forse vuoi anche il parere di una persona a cui non hai spiegato il prodotto, ma tu me l’hai anche spiegato però io non sempre mi ricordo bene quello che mi hai detto. E forse anche perché non sono una persona qualunque, sono tua mamma e quindi… non so però alla fine cosa aggiunga il fatto di essere tua mamma.