Gabriele Francesco Sassone: Possiamo iniziare parlando dei “Tourette’s Paintings”? Cosa significa questa definizione?
Dana Schutz: Ho intitolato la mostra “Tourette’s Paintings” presso The Douglas Hyde Gallery di Dublino perché molte delle idee, da cui inizialmente ho preso spunto per queste opere, provengono da immagini e sensazioni involontarie che vorrebbero manifestarsi con azioni completamente fuori posto: tagliarsi le sopracciglia mentre si decide cosa fare per la serata, calpestare piccoli cani a Chelsea o l’impulso di infilare un dito nell’occhio di un amico proprio nell’istante in cui si nota che li ha azzurri. Questi tic sono fugaci e assolutamente privi di significato rispetto al contesto in cui si manifestano, perciò vengono riconosciuti come del tutto antisociali. Ho cominciato a prestare attenzione a questi gesti impulsivi, e a focalizzarmi su di essi, perché offrono molte informazioni su atteggiamenti specifici che, normalmente, sono percepiti come un problema; come si comincia il dipinto di una persona che gratta i denti contro una tavola di legno?
GFS: Infatti mi ha colpito molto l’uso che fai del corpo. “Self-Eaters” e “Face Eaters” sono delle serie in cui le figure autodeterminano la propria esistenza e la propria sopravvivenza attraverso un perpetuo stato in divenire. Ora, nei dipinti ispirati alla Sindrome di Tourette, questo senso di crudeltà diventa a tratti ironico: uomini e donne compiono simultaneamente diverse azioni in maniera contraddittoria. È il tuo modo di analizzare il nostro tempo?
DS: Non attribuisco a questi dipinti un valore di cronaca, né li vedo come uno specchio della società contemporanea, sebbene possano descrivere un certo stato d’ansia. Ma quest’ansia esiste da sempre — un sentimento che non permette di sentirti a proprio agio nel presente e ti trasmette paura del futuro. Nelle opere il cui titolo è composto da “verbi”, ero interessata ai significati marginali che emergono dall’accostamento delle azioni rappresentate. Swimming, Smoking, Crying si riferisce alla sensazione di prendere fiato in una dimensione privata d’angoscia, nella quale la testa è percepita come un’isola gigante o una barca dove queste azioni hanno luogo. Quando frequentavo il liceo facevo parte di una squadra di nuoto. Ero la peggiore del gruppo B; sostanzialmente era la squadra di cui tutti potevano far parte, incluse le persone con gravi tendiniti. Mentre nuotavo avevo l’abitudine di urlare sott’acqua le canzoni dei Nirvana, pensando che nessuno potesse sentirmi. Solo dopo ho scoperto che sott’acqua i suoni sono amplificati!
GFS: E allora cosa mi dici di Shaking, Cooking, Peeing?
DS: Questo lavoro non ha riferimenti troppo personali, eccetto la mia totale incapacità di preparare una frittata. Vedo quest’opera come una battaglia tra un’azione controllata e una totale perdita di controllo. “Scuotere” e “cucinare” vanno bene insieme e “scuotere” e “fare pipì” hanno senso, ma unire tutti e tre diventa complicato. È importante per me che una mano prenda equilibrio appoggiandosi a una superficie che sembra instabile. I piedi della ragazza, invece, mi ricordano le zampe di un cane e la pipì è più simile al tuorlo di un uovo rotto che all’urina. Innanzitutto ho sentito che questi verbi insieme potevano generare una situazione astratta interessante. Il soggetto potrebbe essere visto come un sistema nel quale ogni porzione porta avanti una diversa attività, ma non senza ostacoli… come un meccanismo controproducente.
GFS: Quando abbiamo parlato al Mart di Rovereto, in occasione della tua personale, ero interessato a vedere le tele da vicino per capire come dipingi. Ho notato che sovrapponi il colore e le forme come se i dipinti fossero una sorta di stratificazione della tua memoria e delle tue riflessioni. Quando inizi a dipingere hai già uno schema o il tuo lavoro è in costante evoluzione?
DS: Sì, pianifico un po’ prima di iniziare a dipingere. Mi viene in mente un’idea del soggetto e inizio a comporre l’opera partendo dalla tavolozza dei colori. Faccio degli schizzi e delle prove di colore per ore, qualche volta anche per giorni prima di iniziare. Abbinare i colori può essere noioso ma preferisco dipingere a fresco, perciò avere tutto pronto aiuta. Se mi preparo in anticipo, posso lavorare senza interruzioni e rispondere velocemente a ciò che sta succedendo sulla tela. Il dipinto va per la sua strada e le cose possono cambiare molto rispetto al programma iniziale, ma sicuramente c’è uno schema da cui partire.
GFS: I tuoi dipinti rappresentano un tentativo affascinante di assimilare ed esplorare la pittura stessa; si possono cogliere alcuni richiami alla storia dell’arte moderna e contemporanea — Philip Guston, Emil Nolde, Giorgio De Chirico, George Condo… Dunque, qual è la differenza tra una banale citazione e una reinterpretazione critica?
DS: Non sono sicura che ci sia sempre una distinzione così chiara. La citazione non è sempre banale e la reinterpretazione non è necessariamente critica. In verità non sono interessata né all’una né all’altra o, almeno, non voglio ritrovarmi a fare dipinti sulla storia dell’arte. Credo che ogni immagine abbia una sorta di DNA che si trasforma attraverso altre immagini e genera un nuovo immaginario. Questo vale anche per gli eventi e gli oggetti; ogni cosa è relativa. Nonostante esista un canone, i dipinti sono vissuti come esperienze intime. Nei miei lavori adotto certi riferimenti, quando emergono, se questi hanno una relazione poetica col soggetto, ma non voglio renderli fissi. Come l’inflessione del linguaggio o della materia, devono essere fluidi e mutevoli.
GFS: E questa fluidità potrebbe arrivare da altre fonti? Per esempio, so che sei una grande lettrice e penso che la letteratura sia fondamentale per tenere la mente aperta. Cosa stai leggendo? Quali sono i tuoi libri preferiti?
DS: Credo che la fluidità provenga dal bisogno di rispondere a ciò che sta avvenendo sulla tela e alle associazioni che dall’ambiente possono giungere alla mente. Il linguaggio può evocare immagini grandiose e sono convinta che, mentre sto dipingendo, raccolgo informazioni per rappresentare il soggetto forse in un modo più simile a quello di uno scrittore. C’è una citazione di Alice Neel in cui descrive i denti di un suo soggetto come “pietre tombali”: l’adoro! Qualche volta certe frasi possono ispirare un’opera. C’è un passo di Mattatoio N. 5 di Kurt Vonnegut che dice: “Billy ha viaggiato nel tempo”. È una frase talmente bella e terrificante. Non ho idea di come possa entrare in un lavoro, ma qualcosa della sensazione provocata da questa frase può fornire informazioni su come dipingerlo. Al momento sto leggendo un libro d’interviste e scritti di Bruce Nauman e ho appena letto un saggio di David Foster Wallace, Laughing with Kafka. È un testo formidabile e credo che abbia molto a che fare con la pittura. Foster Wallace descrive come le barzellette e i racconti si basino sulla capacità di trattenere certe informazioni, con lo scopo di rivelarle per causare un’improvvisa esplosione di associazioni. La cosa migliore è quando un’opera riesce a ribaltarsi in quel modo.