Sophie Alacoque: Come definirebbe il suo lavoro a qualcuno che non lo conosce?
François Morellet: Innanzitutto, citando le parole di una storica dell’arte Mo Gourmelon, io mi definirei: “rigoureux rigolard”. La mia opera invece la vedo come il frutto di un matrimonio particolare fra il rigore da un lato, la precisione, e d’altro canto l’assurdo.
SA: L’assurdo?
FM: Come per chi è venuto prima di me, Allais e gli Incoerenti, Duchamp e in seguito tanti altri, fra i quali Raymond Devos e perché no, anche Cioran, il mio ultimo modello, colui che ha distrutto le credenze e poi tutti coloro che hanno avuto a che fare con l’assurdo, in una maniera o nell’altra.
SA: Dunque, lei non crede…
FM: Ah! Certo, io credo che non bisogna credere…
SA: Mi racconti la genesi della sua esposizione al Musée d’Art Contemporain de Lyon …
FM: Al secondo piano, il Museo espone sei opere che appartengono alla collezione. Sono opere molto differenti, per natura, dimensione ed epoca. C’è un dipinto collegato con i cardini del 1952, un dipinto con due grandi linee di neon che si sovrappongono del 1971, un filo ondulatorio del 1965, del nastro adesivo del 1985, due angoli di muro raddoppiati e invertiti che provengono dalla Biennale del 1991, e per unire il tutto una creazione: una via di fuga, il contrario di un labirinto, dove tutti i corridoi hanno due uscite che portano alle opere. Si tratta di un dipinto degli anni Settanta dove le linee casuali diventano dei corridoi.
SA: Si ha l’impressione che predilige sempre dei punti di vista differenti. C’è sempre un carattere matematico e razionale, e anche un aspetto più pratico, ludico… Mi sarebbe piaciuto averla come insegnante di matematica!
FM: Ero pessimo in matematica. Ma dopo un periodo difficile durante gli studi, ho incontrato dei matematici formidabili. Sono delle persone completamente al di fuori della realtà, come gli artisti, ma non hanno la speranza di raggiungere le vette della celebrità del mondo dell’arte. Creano delle teorie logiche e irreali, unendo, mi sembra di capire, uno spirito giocoso, la competizione e la provocazione. Anche a me sarebbe piaciuto molto avere un insegnante di matematica che potesse assomigliare ai matematici che ho incontrato, i quali, evidentemente, non erano professori al liceo.
SA: È molto complesso: lei è affascinato da questo rigore…
FM: Sì, ma sono incapace di capire le grandi teorie matematiche. I matematici che ho incontrato hanno avuto la gentilezza di dirmi che in fin dei conti il mio processo aveva dei punti in comune con il loro. Per esempio, entrambi ci interessiamo a sistemi bizzarri che si sviluppano in maniera autonoma. È meraviglioso osservare la nascita di opere che non ci si aspetta, che disturbano e che portano verso nuove direzioni.
SA: Possiamo dire che lei segue una forma di pedagogia? Come se esponesse, o ci presentasse un teorema matematico…
FM: Oh! No, molto modestamente, potrei sviluppare, grazie ai miei sistemi, delle immagini piuttosto famigliari al mondo dell’arte, che potremmo legare al Pointillisme, all’Espressionismo Astratto, al Costruttivismo, al movimento Dada, all’arte minimale, eccetera… Ovvero, ciò che altri hanno fatto o faranno attraverso il genio, io lo faccio con un sistema. Perché creare qualcosa se lo si può trovare altrove? Bene, perché, se c’è un meno, c’è anche un più, e questo secondo livello offre all’arte, ai matematici, alla vita, una dose di derisione che è un tranquillizzante euforico indispensabile ai vecchi decadenti come me (e fieri di esserlo).
SA: Si tratta dell’inizio dell’Arte Concettuale e del minimalismo…
FM: Sì, ma anche prima di me si possono trovare delle opere molto minimaliste, per esempio, con la polacca Kobro, o anche sistematiche, nelle sculture del russo Rodchenko, o concettuali, del francese Duchamp. Le mie opere del 1952-1953 hanno avuto, è vero, un’anteriorità, ma hanno anche un difetto grave: non erano grandi. In compenso, se i minimalisti americani hanno fatto delle opere importanti, per me avevano un grave difetto: la loro serietà, il primo grado, al contrario degli artisti pop che li avevano preceduti.
SA: Come le giunge l’idea di un sistema?
FM: Alla fine della mia vita, non ci penso più, considero gli elementi che mi permetto di usare: delle linee dritte, dei cerchi, o dei frammenti di cerchio, dei quadrati, possiamo anche andare fino ai triangoli, cosa possiamo fare con queste cose per dare loro vita? Per esempio, se si sovrappone una rete di paralleli a un’altra, si creano molte cose…
SA: Come ha fatto con le sue reti, erano favolose, sembrava arte orientale.
FM: Le mie reti hanno avuto molto successo. Penso che gli amanti dell’arte ordinaria abbiano apprezzato soprattutto la consistenza, la ricchezza della materia. Inoltre, è vero, invecchiano molto bene. A me interessava mostrare un sistema di sovrapposizione immediatamente visibile. Eppure, le vendevo meno care rispetto ai miei dipinti. Avevo un po’ di vergogna, a causa del poco tempo necessario alla loro realizzazione. Erano troppo in contraddizione con il mondo normale degli affari che allora mi permetteva di vivere!
SA: Sì, perché dirigeva un’azienda famigliare di giocattoli. E riusciva a fare le due cose al contempo?
FM: Era possibile, perché ero in provincia e avevo una vita abbastanza regolare. Avevo tutti i fine settimana, le sere, non c’era la tv. Trascorrevo questi momenti a cercare i miei sistemi, anche in fabbrica, di nascosto. Forse avevo più tempo libero, ora sono occupato con le esposizioni, le interviste, la burocrazia, i viaggi, eccetera.
SA: Ora possiede un vocabolario e questo le permette di essere più rapido…
FM: È vero, ma il mio vocabolario era già funzionante mezzo secolo fa. E se è ammissibile ripetersi, un po’, finché qualcuno non ti ascolta, quando infine arriva l’ascolto, personalmente, mi sento deliziosamente obbligato di sorprendere lo sparuto gruppo di spettatori che sono anche un po’ i miei complici.
SA: Il Centre Pompidou ha acquistato molto tardivamente le sue opere, come spiega il disinteresse della Francia per la sua arte?
FM: Questo disinteresse non tocca solo la mia arte, ma tutta “l’arte astratta che utilizza elementi geometrici e che pone l’accento sulla concezione piuttosto che sulla realizzazione”. Questo significa, fra gli altri, i costruttivisti e gli altri del movimento suprematista, russi e polacchi, gli artisti olandesi e belgi del movimento De Stijl, gli artisti internazionali dell’Arte Concreta e i minimalisti americani. Sono sempre stato sorpreso che la Francia — che ha nell’arte e nella letteratura molti elementi importanti della sua cultura, opere basate sulla ragione e la costruzione (l’arte classica per esempio) piuttosto che sull’elemento irrazionale, i sentimenti, il misticismo — sia stata nel XX secolo, oltre a rare eccezioni, allergica a questa forma d’arte.
SA: Le sue influenze principali, Max Bill, i diagrammi dell’Alhambra di Granada…
FM: Sì, nel 1950, io e mia moglie eravamo partiti con l’intenzione di vivere in Brasile. A San Paolo, alcuni mesi prima del nostro arrivo, un’esposizione di Max Bill aveva entusiasmato molto i giovani artisti e loro stessi mi avevano completamente convinto. Oggi, l’Arte Concettuale è riconosciuta e a volte è anche troppo ufficiale in Svizzera, in Brasile, in Venezuela, in Argentina, è presente in Germania, in Olanda, ma praticamente sconosciuta in Francia. L’Alhambra di Granada, era il 1952, e mi ricordo dell’entusiasmo che ho risentito di fronte a questi positivi/negativi e questo all over. Formidabile, molto intelligente! La mia grande idea nel 1952 era di andare oltre l’Arte Concettuale e di sopprimere la composizione. Perché nell’Arte Concettuale, esistono ancora le composizioni. E non dobbiamo scordare i tapa oceanici che osservavo al Musée de l’homme à Paris, questi tessuti simili al feltro, provenienti dalle cortecce lavorate, ricoperti di impronte ripetitive di forme geometriche, in particolari triangoli neri o impronte di mani e di rami. Mi chiedo perché mi ero intestardito, nell’indifferenza generale, a fare questi all over. Era il 1952-1954. Più tardi, le mie trame, le mie opere concepite con il caso, alla fine degli anni Cinquanta, così come le opere in metallo e neon dell’epoca del G.R.A.V. 1961-1968, hanno avuto un certo riscontro. Ma abbiamo dovuto attendere il 1973 affinché dei musei tedeschi e olandesi si interessassero ai miei primi all over. E dopo che si sono diffuse le opere di artisti americani come Stella o Sol LeWitt. Sono dunque riconoscente a loro.
SA: Le hanno fatto tanta pubblicità!
FM: Sì, certo, incredibile! Sol LeWitt ha persino scritto in uno dei suo cataloghi che era spiaciuto di avermi causato imbarazzo, siccome mi considerava un artista “able”, capace! Non è terribile, ma da parte di un americano, è già qualcosa!
SA: Sta preparando un’esposizione al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris?
FM: Sì, è un’esposizione particolare con il titolo: “Blow-up 1952-2007, quand j’étais petit je ne faisais pas grand”. Mostrerò undici piccoli dipinti del 1952 che erano in musei o fondazioni in Germania, Olanda, Italia, Usa e Francia, e nello stesso spazio ci saranno 11 ingrandimenti, quattro volte più grandi, che ho realizzato l’anno scorso. Il progetto e il catalogo sono stati concepiti da due giovani professionisti pieni d’inventiva, Didier Fiuza Faustino e Pierre François.