Arte e storia, al tempio del contemporaneo newyorkese. Se “Junger than Jesus” aveva inaugurato la prima Triennale del New Museum mettendo in mostra un circuito di artisti emergenti selezionati per lo più in base a rigidi criteri generazionali, con “Ungovernables” la curatrice Eungie Joo saluta a testa alta l’edizione del 2009 per portare sulla scena museale un complesso e articolato corpus di lavori che vanta la presenza di trentaquattro progetti artistici provenienti da almeno venti paesi. In tale contesto la giovane età degli autori coinvolti non si esaurisce in se stessa, ma diventa il veicolo privilegiato per una nuova e rivoluzionaria resistenza estetica — oltre che politica — densa di fantasia e dark humor. I protagonisti dell’esposizione, nati e cresciuti in seguito ai movimenti rivoluzionari degli anni Sessanta e Settanta, recuperano attraverso visioni inedite la memoria dell’Apartheid, le dittature militari, l’ascesa fondamentalista, la crisi economica, instaurando un vero e proprio dialogo con il passato attraverso la vitalistica reinterpretazione del presente. Un presente monumentale, come quello riassunto dal vietnamita Danh Vo nell’opera We the People, fedele riproduzione a grandezza naturale della Statua della Libertà, a sua volta scomposta in molteplici frammenti apparentemente privi di valore iconico.
Ma pur sempre provvisorio, se si pensa all’impiego dell’argilla nella pratica scultorea di Adrián Villar Rojas, alla performance interattiva del Public Movement, o ancora alla dimensione contingente che plasma l’universo materico di Julia Dault. I cinque piani dell’area espositiva, nonostante la varietà formale delle opere incluse, incarnano dunque la struttura corale entro cui viene (ir)risolta la natura instabile dell’espressione post-moderna, magistralmente difesa in Eavesdropping di Amalia Pica e rielaborata, seppur in prosa diaristica, da Jonathas de Andrade. Tra video, sculture e installazioni site specific una domanda sorge spontanea. L’artista che esperisce il proprio tempo nell’era multimediale può ancora assumere un autentico ruolo propositivo? A rispondere, il manifesto dell’arte “ingovernabile”.