Emigrato dalla Puglia a venticinque anni, Guido Le Noci, classe 1904, arriva a Milano “con un fagotto di sogni nella testa e un altro in mano con la roba personale”, come lui stesso ricorderà in un articolo pubblicato su Domus nel 1962. È difficile ricostruire le vicende biografiche del mercante e gallerista Le Noci, data la laconicità delle fonti e dell’indice bibliografico. Tuttavia, sfogliando alcune riviste — Domus e Bolaffi Arte — è possibile rintracciare accenni alle sue attività prima dell’apertura della Galleria Apollinaire.
Dopo i primi passi come collezionista (“qualche volta firmavo anche piccole cambiali per avere subito quello che mi piaceva”), Le Noci apre a Como la sua prima galleria, la Borromini. Era il 1943 e la prima mostra ha tra le sue fila diversi nomi di pittori ebrei, uno tra tutti: Modigliani. L’esposizione chiude quasi subito per ordine della prefettura di Como, ma non prima che l’intraprendente mercante riesca a vendere tutte le opere di contrabbando. Conclusa la guerra, la Borromini viene trasferita a Milano, al numero 25 di via Manzoni, ma nel 1950 Le Noci chiude perché “assalito dal fisco”. È l’inizio di svariate collaborazioni: con la Bompiani, il Teatro Piccolo — dove incontra Paolo Grassi, di cui diventerà presto amico — e la Galleria Schettini. Finché il 17 dicembre 1954 inaugura la Galleria Apollinaire, “la galleria che sognavo da anni”. Il “covo dell’avanguardia più oltranzista, la sala più polemica d’Italia, dove passano i fenomeni viventi, i pazzi, gli anarchici, i frenetici dell’avanscoperta” — come scrisse Dino Buzzati nel 1957 — è un piccolo spazio espositivo in via Brera 4, allestito da Vittoriano Viganò. Resterà aperto per quasi trent’anni, fino al 1983, quando verrà a mancare il suo direttore.
Dall’Informale della fine degli anni Cinquanta alla svolta del Sessanta con il Nouveau Réalisme, fino alle installazioni e agli ambienti degli anni Settanta, il percorso dell’Apollinaire racconta a suo modo una parte della scena artistica del dopoguerra, con particolare attenzione alla scena internazionale — francese soprattutto — e ai suoi rapporti con la città di Milano. Il comune denominatore dell’attività della galleria nel corso dei decenni è l’amicizia del direttore con il critico d’arte francese Pierre Restany. Sostenitore di Charles De Gaulle, Restany ha solo 23 anni quando nel 1953 incontra Le Noci per la prima volta in un caffè parigino del quartiere di Saint-Germain-des-Prés. Poeta e critico d’arte, inizia proprio in quegli anni a occuparsi di alcuni giovani artisti informali che gravitano nell’orbita di una manciata di gallerie parigine (Louis Leiris, la Galerie de France e la Galerie Charpentier). Due anni più tardi Le Noci lo invita a entrare nel Comitato Internazionale del IX Premio Lissone: da questo momento inizia un vero e proprio “sodalizio” tra i due, non soltanto in ambito lavorativo e professionale, dove condividono ideali e una lucida quanto anticonformista visione dell’arte, ma nasce anche una sincera e profonda amicizia. L’incontro con Restany spalanca a Le Noci le porte di Parigi, allora — e ancora per poco — capitale dell’arte mondiale. In particolare, il gallerista entra in contatto con gli artisti che Restany chiama l’École de Paris, giovani esponenti della corrente informale europea, accomunati dal loro legame con la scena parigina pur provenendo da altri paesi europei. Restany, che nel frattempo collabora con la prestigiosa rivista Cimaise, che lascerà poi per Domus, cura per l’Apollinaire una serie di mostre dedicate a questi artisti, plasmando di fatto l’immagine della galleria come l’unica sala espositiva milanese dove poter vedere le ultime tendenze dell’arte d’Oltralpe. La collettiva più significativa di questi primi anni di febbrile attività è “Maestri e giovani pittori d’oggi” del 1956, alla quale si aggiungono molte personali degli stessi artisti e una fervente attività editoriale. Infatti, sin dai suoi esordi di gallerista, Le Noci si occupa anche di un progetto editoriale che prende il nome di Edizioni Apollinaire, e si dedica con cura quasi maniacale alla redazione e stampa prima dei piccoli cataloghi delle mostre, ideando delle collane apposite che accompagnano la programmazione stagionale della galleria e, più tardi, pubblicando lavori di ricerca rivolti non solo ad artisti ma anche a poeti, per i quali saranno stampati dei veri e propri testi nella collana Inchiostri (da Leonardo Sinisgalli a Giuseppe Ungaretti, da Luigi Pirandello a Salvatore Quasimodo).
Negli stessi anni Le Noci lascia il segno anche in veste di direttore della segreteria del Premio Lissone che, da manifestazione di provincia, si trasforma in evento internazionale e all’avanguardia. Le Noci invita molti degli artisti che gravitano attorno all’Apollinaire così che le edizioni da lui curate avranno una netta impronta “informale” e “astratta”. Nella seconda metà degli anni Cinquanta, Le Noci tesse una rete di scambi tra Italia e Francia, consentendo al pubblico meneghino di intercettare le ultime novità francesi ed europee, alle quali le altre gallerie non danno sufficiente spazio. Se rispetto al panorama mercantile milanese la posizione di Le Noci verrà sempre considerata ai limiti del circuito, fuori dai giochi, egli riesce tuttavia a ritagliarsi un ruolo preciso puntando sui giovani artisti d’Oltralpe e sulla collaborazione quasi esclusiva con Pierre Restany. Tale “specializzazione” da una parte rende unica e storicamente importante l’attività dell’Apollinaire, dall’altra la definisce come luogo troppo sperimentale e quindi fuori mercato. La dialettica tra questi due aspetti — la ricerca artistica più raffinata e la scarsità di guadagno — sarà la cifra che più caratterizzerà la reputazione dell’Apollinaire e del suo direttore, diventandone allo stesso tempo punto di forza e bandiera della sua lotta. Nel 1962 Le Noci arriva a sostenere che la sua galleria è quella “che fa meno affari di tutte […] perché punto e mi limito solo alla cosa più proibitiva della pittura, alla poesia come il tutto del pittore, […] perché vado a cercare sempre le novità e […] perché non sono capace di mondanizzare la mia galleria né di fare dell’esibizionismo personale sui giornali”. I giornali arriveranno a descriverlo come “eroe martire e vergine”, un “sentimentale” (Leonardo Borgese sul Corriere della Sera nel 1965); “mercante dell’insolito, che sta a parte, che segue strade non battute, che si butta a capofitto nelle imprese più rischiose” (Luigi Carluccio su Bolaffi Arte nel 1970). Le descrizioni sfiorano il parossismo: “Non ha mai venduto un quadro falso, non ha mai venduto ad altri quello che non piace a lui. Guido si stacca mal volentieri dalla sua merce. Fa visite periodiche ai suoi clienti per assicurarsi dello stato di salute delle opere, come si fa per i cani e per i gatti” (Leonardo Sinisgalli su Tempo nel 1969). Tale immagine deve molto alla penna di Dino Buzzati; amico del gallerista, appassionato d’arte, lo scrittore bellunese è solito frequentare le mostre dell’Apollinaire e il Premio Lissone. L’occasione per raccontare dell’amico e della sua galleria arriva all’inizio del 1957 con la celebre seppur breve esposizione dei monocromi di Yves Klein. L’Apollinaire presenta in anteprima mondiale “Proposizioni monocrome. Epoca Blu”: undici monocromi blu, tele identiche nelle misure e nella campitura cromatica, e un monocromo rosso più piccolo. La mostra viene accolta con curiosità dagli artisti milanesi — Lucio Fontana e Piero Manzoni in primis — e Buzzati firma “Blu, Blu, Blu”, articolo sensazionale nel quale racconta dell’esposizione con (falso?) sgomento. Lo scrittore ritrae il gallerista come il “capitano dei commandos delle arti belle”, un militante e guerrigliero che nel panorama artistico dell’epoca si batte contro l’esercito ufficiale di critici e mercanti, lasciando esporre un artista che è non solo giovanissimo e sconosciuto, ma sovversivo rispetto a qualsiasi basilare regola di vendita dell’epoca: opere praticamente identiche, facilmente falsificabili e lontane dai gusti del collezionismo degli anni Cinquanta. Gli acquirenti sono pochi — Fontana e il collezionista e conte Giuseppe Panza di Biumo il quale, però, solo pochi giorni dopo l’acquisto, riconsegnerà a Le Noci il piccolo monocromo rosso.
La mostra di Klein nel 1957 rappresenta un’occasione per riflettere sulle scelte espositive di Le Noci in anni cruciali, come quelli della fine degli anni Cinquanta. Se da un lato, infatti, Le Noci cavalca il boom dell’Informale — che dal punto di vista strettamente storico stava già tramontando —, dall’altro viene attratto da artisti come Klein e Arman che di lì a poco verranno raggruppati nel Nouveau Réalisme. Due tendenze opposte animano l’attività di Le Noci tra il ’57 e il ’60. Nel 1958 ottiene l’esclusiva sull’opera di Jean Fautrier, padre dell’Informale europeo, e celebra il successo con due mostre e due volumi altrettanto ricchi dedicati all’artista. Raggiunge il culmine quando allestisce la sala di Fautrier alla XXX Biennale di Venezia nel 1960, vincitore ex aequo con Hans Hartung. È il momento del riconoscimento ufficiale, i suoi sforzi e le sue intuizioni vengono acclamati da quella che allora era la più importante rassegna artistica a livello internazionale. Nondimeno, quello stesso anno le Edizioni Apollinaire danno alle stampe Lyrisme et Abstraction di Pierre Restany, opera prima del critico e compendio della scena informale europea — e non — dell’ultimo decennio. Nonostante la pubblicazione di quest’opera, Restany si allontana progressivamente dall’Informale e orienta la propria riflessione verso un nuovo linguaggio espressivo legato “alla natura moderna, la natura della fabbrica e della città, della pubblicità e dei mass media, della scienza e della tecnica, del mondo del consumo”, come scriverà nel 1979 in L’altra faccia dell’arte. Nel 1960 questa riflessione è già matura e il 18 aprile Restany firma il primo manifesto del Nouveau Réalisme, seguito dalla prima mostra collettiva presso l’Apollinaire. Con la fondazione del gruppo, anche la programmazione della galleria prende una nuova direzione; una serie di personali è dedicata alla maggior parte dei suoi protagonisti: gli affichistes Raymond Hains, Jacques Mahé de la Villeglé, François Dufrêne e Mimmo Rotella (unico italiano del gruppo); e ancora Yves Klein, César, Arman, Jean Tinguely e Niki de Saint Phalle, Daniel Spoerri, Gérard Deschamps e Christo.
Anche la riflessione di Le Noci diviene sempre più militante e assume i tratti di una “battaglia culturale”, cosa che gli procurerà severe stroncature da parte di una certa critica sulle pagine dei quotidiani. Tra questi vi è Marco Valsecchi, autore di una recensione decisamente poco lusinghiera della mostra “I pacchi di Christo”, inaugurata nel giugno 1963. Gli empaquetage sarebbero “fenomeni di deviazione intellettuale”, mentre gli organizzatori Le Noci e Restany sono “amanuensi” che “credono di scandalizzare con le loro stranezze e invece annoiano soltanto”. La replica di Le Noci arriva con un volantino distribuito alla mostra (non avendo forse riscontrato disponibilità alla pubblicazione da parte dei giornali) nel quale rivendica la sua “etica” di gallerista: “Ti confesso, ti giuro che questa specie di ardore che ho per l’arte nuova mi viene dalla paura di cadere — scadere — nella morta gora, nel grande pantano dell’inezia, della mediocrità o, nel migliore dei casi, nel giro della cosiddetta pittura ufficiale, che è come dire scendere a tutti i compromessi, che a un certo momento — sia detto fra noi — devi un po’ fare il manutengolo, il ruffiano, l’imbonitore di ideali esauriti, esauriti da un pezzo, o il profeta dei grandi ritorni”.
L’impegno militante di Le Noci e Restany cresce di pari passo, evidenziando come il loro rapporto professionale e d’amicizia sia stato molto più complesso di quanto la critica tende sbrigativamente a spiegare. Troppo superficiale infatti credere che Restany fosse la mente e Le Noci il mero esecutore delle sue teorie: i documenti e i carteggi che raccontano della loro attività trentennale rivelano quanto questa fosse complessa e sfaccettata. Le idee nascevano dal dibattito, dal confronto dialettico sui temi e sull’attualità, e avevano sempre come sfondo una realtà che stava cambiando giorno per giorno. Nel lungo epistolario tra i due si vedono scorrere parole come “dinamite rivoluzionaria artistica”, preludio alla pubblicazione del Libro rosso della rivoluzione pittorica (Edizioni Apollinaire, 1968) e del Libro bianco dell’arte totale (Edizioni Apollinaire, 1969), entrambi redatti da Pierre Restany durante le contestazioni studentesche. Il primo testo porta infatti il marchio del maggio parigino, quando Restany si unisce alle manifestazioni degli studenti e occupa il Museo Nazionale d’Arte Moderna di Parigi, come annuncerà su Combat “per causa d’inutilità”.
Lo stesso anno, l’Apollinaire e il suo direttore elaborano una programmazione mirata a defunzionalizzare le gallerie del loro ruolo mercantile, proponendo intenzionalmente opere non vendibili, installazioni. Finisce così la “galleria” e nasce il Centro Apollinaire. L’evento più rappresentativo di questa fase è senza dubbio l’opera di Daniel Buren, la quale chiude fisicamente e metaforicamente l’ingresso dell’Apollinaire con i suoi teloni a strisce bianche e verdi (maggio 1968). Il decennio successivo vede rinforzarsi tale proposta artistica, allargando la cerchia degli artisti a Buren, Alex Mlynarcik, Mario Nanni, Elio Marchegiani, Antonio Paradiso, Luca Patella e avvalendosi spesso degli interventi allestitivi di Nanda Vigo.
Il culmine dell’attività dell’Apollinaire e dell’affiatamento del suo direttore con Restany è rappresentato dall’organizzazione del festival per il decimo anniversario del Nouveau Réalisme, svoltosi a Milano con una mostra retrospettiva alla Rotonda della Besana e una serie di “azioni-spettacolo” per le vie della città nel novembre 1970. Alcuni giornali accolgono l’arrivo del festival con curiosità, altri con toni più polemici quando si domandano retoricamente se quelle proposte siano o meno opere d’arte e che cosa volessero mai significare le espansioni di César in galleria o gli empaquetage di Christo, il caso più discusso del festival.
A distanza di oltre vent’anni, Restany ricorderà come “Guido doveva aderire nel modo più spontaneo alla causa del Nouveau Réalisme di cui divenne l’annunciatore milanese e il maestro delle cerimonie in occasione del decimo anniversario”, sottolineando che tale evento fu indubbiamente il più rappresentativo della sua attività e della collaborazione con Le Noci. Restany ricorderà l’amico all’indomani della sua scomparsa, nel luglio 1983, con un breve articolo su Domus nel quale lo definisce “le poète marchand par excellence” e ricordando la loro avventura con l’Apollinaire come un “expérience unique de symbiose fraternelle entre le coeur et la tête”.