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Amarcord

22 Ottobre 2015, 11:41 am CET

Non mercante ma sciamano dell’arte di Tino Stefanoni

di Tino Stefanoni 22 Ottobre 2015
Tino Stefanoni, L’albero medaglione, 1968. Veduta dell’installazione presso la Galleria Apollinaire, Milano. Foto: Sandro Crippa.
Tino Stefanoni, L’albero medaglione, 1968. Veduta dell’installazione presso la Galleria Apollinaire, Milano. Foto: Sandro Crippa.
Tino Stefanoni, L’albero medaglione, 1968. Veduta dell’installazione presso la Galleria Apollinaire, Milano. Foto: Sandro Crippa.

“Come sai, Tino, a ogni mia inaugurazione offro il buon vino del mio paese (Martina Franca), un cesto di noci (ovviamente) e uova sode sgusciate vicino a un piattino di sale. Inoltre accendo sempre un piccolo ‘fuoco di compagnia’ in mezzo al cortile della galleria. Quindi ora, visto che non ho più mattoni su cui appoggiare il fuocherello, per favore vai tu a cercarli.” E così ho fatto da via Brera 4, sede della Galleria Apollinaire, fino a via Solferino dove avevo scoperto, aguzzando l’ingegno, un cantiere aperto, andata e ritorno con una carriola piena di mattoni e quindi vuota al ritorno, che gentilmente il capomastro un po’ stupito m’aveva prestato. “Questo viaggio con la carriola, signori miei, guardatemi bene, è per la mia mostra alla Galleria Apollinaire! Presentato da Restany!!!”, pensavo io forte forte lungo il mio tragitto, sperando che tutta la gente che incontravo mi sentisse (1968). E poi la preparazione della mostra. Totale silenzio per tutta la giornata d’allestimento fino all’inaugurazione. Ed è qui che voglio considerare la strana magia che scaturiva quando facevi qualsiasi cosa con o per Le Noci: silenzi sciamanici che lui trasmetteva senza dire. Anche durante la “pausa pranzo” fatta di tre ricche freschissime baguette al prosciutto di Parma con due cetrioli sott’aceto (Le Noci teneva molto alla buona cucina),  una per la moglie Maria Eugenia (con la quale di tanto in tanto incrociavo uno sguardo furtivo d’intesa), una per lui e una per me. Un cioccolatino a fine pasto. Anche qui, sempre quella tensione magica del suo silenzioso messaggio. Visti dall’esterno forse saremmo parsi anche ridicoli, quel giorno della mostra, ma invece non era così, stavamo tutti e tre vivendo, anche fisicamente e totalmente coinvolti, il mistero dell’arte e, in questo caso (che gioia), della mia arte.
Questo breve ricordo che ho voluto intensamente rivivere per Le Noci è per rilevare quanto quest’uomo, sciamano dell’Arte che viaggiava con un ciclomotore nero con le ruote giallo forte canarino, mercante incapace ma poeta assoluto, abbia saputo portare e promuovere l’arte nel modo migliore, consapevole del suo pieno coinvolgimento con essa, usato come metodo migliore per affinare le sensibilità degli altri. Questo volevo ricordare di lui, la sua sensibilità intellettuale primitiva e non contaminata, che lo dava vincente verso gli altri colleghi mercanti. Tutto il resto, cioè la sua attività di gallerista e di raffinatissimo editore è tutta storia già ben famosa e che tutti conosciamo: i grandi libri da bibliofili su Sinisgalli, Ungaretti o Quasimodo, per esempio, o le grandi monografie su Fontana, Fautrier, Christo o Rotella, Bertini e altri. Le grandi mostre sulla Pop Art o sul Nouveau Réalisme, tutte in tempi pionieristici (tant’è vero che s’era fatto fare da Christo, per la sua mostra, un bellissimo ritratto alla Cézanne, appoggiato per terra vicino al grande pacco che occupava minaccioso tutta la galleria onde evitare, almeno in parte, le solite stupide polemiche sulle capacità pittoriche dell’artista; cosa che oggi non sarebbe più necessaria, per fortuna). Quindi Guido Le Noci, ripeto, non mercante ma sciamano che ha saputo indicare tante volte, con la sua primitiva forte sensibilità, la strada giusta dell’Arte.

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