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348 Mar-Apr 2020, Recensioni

11 Marzo 2020, 9:00 am CET

Marc Bauer “Mi Piace Commenta Condividi, A Rethorical Figure” Istituto Svizzero / Milano di Camilla Balbi

di Camilla Balbi 11 Marzo 2020
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Marc Bauer, “Mi Piace Commenta Condividi, A Rethorical Figure”. Veduta della mostra presso Istituto Svizzero, Milano, 2020. Fotografia di Giulio Boem. Courtesy Istituto Svizzero, Milano.
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Marc Bauer, Mi Piace Commenta Condividi, 2020. Olio su tela e malta su alluminio verniciato (Dibond). 120cm x 80cm. Courtesy l’artista.
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Marc Bauer, “Mi Piace Commenta Condividi, A Rethorical Figure”. Veduta della mostra presso Istituto Svizzero, Milano, 2020. Fotografia di Giulio Boem. Courtesy Istituto Svizzero, Milano.
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Marc Bauer, Mi Piace Commenta Condividi, 2020. Dettaglio. Courtesy l’artista.
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Marc Bauer, Mal-Être / Performance, Demonstration, 2020. Matita su alluminio verniciato (Dibond). 45cm x 42cm. Courtesy l’artista.
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Marc Bauer, A Rhetorical Figure, 2019. Matita su carta. 30cm x 42cm. Courtesy l’artista.
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Marc Bauer, A Rhetorical Figure, 2019. Dettaglio. Courtesy l’artista.

Dar respiro alle immagini. Questa l’ambizione profonda di “Mi Piace Commenta Condividi, A Rethorical Figure”, la personale di Marc Bauer all’Istituto Svizzero a Milano. Un’interrogazione coraggiosa, condotta con caparbietà e rigore, attorno a un unico cruciale quesito: qual è la funzione dell’arte nell’ipertrofia visiva del presente?
Un problema che, lungi dal considerarsi puramente estetico, acquista, nella ricerca di Bauer, connotazioni sociali: è proprio sul terreno delle immagini digitali, infatti, che si gioca la quotidiana battaglia del consenso politico. Un Moloch – quello della macchina della propaganda salviniana, oggetto della mostra – che, quotidianamente, fagocita i contenuti più eterogenei – dai migranti ai gattini, dalla Nutella al cattolicesimo – tracciando un confuso panorama post-ideologico e sottilmente pop che va a comporre, nostro malgrado, il milieu della sensibilità contemporanea.
L’operazione condotta da Bauer sulle immagini “trovate”, o meglio afferrate dal flusso bulimico del discorso politico, è estremamente complessa, e passa per un ripensamento radicale della tecnica del disegno. Strumento d’elezione nella tradizione pittorica classica, che l’artista dimostra di frequentare con disinvoltura, per l’appropriazione artistica del reale da parte del soggetto, il disegno diventa in Bauer medium per lo straniamento delle immagini.
Nei grandi walldrawings (Wolf, 2020; Mary, 2020; Margherita, 2020), o nei tweet di Salvini riportati su grandi pannelli (A rethorical figure, 2019), si giocano così complessi equilibrismi tra senso e nonsenso. Se, infatti, la realtà delle retoriche del potere è qui ri-agita e smascherata come grottesco carnevale postmoderno, la prassi artistica sembra opporre una tenace resistenza all’indifferenza dei contenuti continuamente mediati e rimediati dalla politica. Il disegno oppone la lentezza del procedimento alla velocità dei tweet, la fisicità della mano all’immaterialità delle reti. Il flusso, per un momento, è sospeso. Così, sembra suggerirci Bauer con il grande Dylan Dog (2020) che campeggia nello spazio: l’unico argine possibile ai mostri dell’irrazionale passerà per il linguaggio. Ed è una strada che l’arte deve rischiare.

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