All’inizio del suo poema “La isla en peso” [“Il peso di un’isola”], lo scrittore cubano Virgilio Piñera evoca la maledizione dell’essere circondati dall’acqua da ogni lato, paragonandola a un cancro. La medesima sensazione di intrappolamento è palpabile nella serie di opere Isla di Yoan Capote, sei delle quali sono esposte attorno alla sala principale di Galleria Continua, che si affaccia sulla centrale Piazza della Cisterna.
A eccezione di Isla (mare nostrum) (tutte le opere 2019), i cui quattro pannelli raffigurano un mare notturno in tempesta, queste tele sono allineate lungo le loro rispettive linee d’orizzonte. In una variazione del familiare genere del paesaggio marino – con un guizzo – ogni tela trasmette un diverso stato d’animo, un’ora del giorno e alterna tradizioni pittoriche che vanno dalle xilografie giapponesi alle pitture di paesaggio di Caspar David Friedrich. Se osserviamo più da vicino le onde scure che si fondono con le spesse pennellate applicate sulla superficie della tela, si dissolvono in una moltitudine di piccoli ami da pesca tempestati di chiodi: una sorta di cortina di ferro sul muro che è il mare che circonda l’isola.
Il peso della storia e dell’ideologia cubana che preme sull’eponimo “soggetto mancante” si fa sentire soprattutto nelle sculture distribuite nei tre piccoli spazi adiacenti della galleria.
In Lastre (I) e Lastre (II), le strisce delle bandiere rispettivamente americana e cubana sono restituite attraverso barre verticali arrugginite legate con filo spinato e ancorate da lastre di cemento quadrate per l’una, e a forma di triangolo equilatero per l’altra. Calchi in bronzo dorato di un femore – l’osso più forte nel corpo umano – in Autorretrato (estudio de resistencia) e di denti legati assieme lungo un’unica linea inclinata in Stress (desplazados), sono inseriti tra due blocchi di cemento lucido considerevoli e estremamente pesanti. Ognuno a suo modo è un autoritratto, l’artista infatti è presente nei titoli e nelle caratteristiche anatomiche che emergono in questi lavori.
Altri due lavori che consistono in mani e volti a grandezza naturale fusi in bronzo appaiono stereotipati e privi della forza che è invece percepibile nella serie Isla. Per Abstinencia (derechos), Capote ha modellato otto mani di estranei che mimavano ogni lettera della parola derechos (“diritti”) con il linguaggio dei segni. Mezzi contrastanti di comunicazione linguistica e l’assenza di diritti umani fondamentali, come la libertà di espressione, li ritroviamo anche in Speechless – series che presenta sette calchi parziali del viso — dalla punta del naso al mento — che sporgono da cubi di bronzo montati su parete e allestiti l’uno accanto all’altro come nel caso di Abstinencia (derechos); le bocche spalancate sono state riempite con pezzi di carta velina, il cui colore bianco è in visibile contrasto con l’oscurità del bronzo. Estendendo la massa compatta della scultura nello spazio della galleria, questi sono gli unici elementi inconsistenti e leggeri in una mostra che può per certi versi sembrare muscolare.