Descrivere “Counterpain”, prima personale in Italia di Louisa Clement – allestita presso gli spazi di CASSINA Projects –, come una esposizione legata al corpo suscita una serie di interrogativi, primo fra tutti: quale corpo? Riprendendo un’espressione di Mario Perniola, si potrebbe suggerire che la mostra di Clement funzioni quale potente “metafora vestimentale”. Due sono i caratteri che qualificano tale costrutto: il primo, pertiene alla centralità assunta da ciò che il filosofo definisce la cosa che sente (dunque la cosa) e non esclusivamente il corpo (che si offre), assottigliando il discrimine tra vivente e non vivente. Il secondo, afferisce invece all’attributo che connette tali caratteri apparentemente distanti e che Clement traduce in uno stratagemma espositivo radicale: non il corpo in quanto umano, bensì la cosa in quanto pelle.
Sulla soglia dello spazio espositivo si è portati a vestire i panni di Nathaniel, tormentato protagonista del racconto notturno di Hoffmann, invaghitosi, scrutandola dalla finestra, dell’automa Olimpia. Se non che, mentre sostiamo nell’androne vetrato, Olimpia ha ormai conquistato un’apparenza digitalmente proteiforme. L’epidermide traslucida, si direbbe glassata, della gigantografia pellicolare Figure Poses (2021) di props acefali, ci travolge con il suo sguardo cieco. Ma non solo. Louisa (2021), Eva futura, ha conquistato la presenza scultorea di una Gradiva elettronica: riproduzione ontologicamente indessicale dell’artista, l’automa si esibisce come un avanzato dispositivo di intelligenza artificiale, dotato di un manto siliconico sorretto da un esoscheletro in alluminio. Trionfo animistico della riproducibilità tecnica e sfida al costrutto di identità, i tre cloni di Clement siedono discretamente interloquendo con il pubblico, carpendo ed elaborando in diretta i dati grazie a un sofisticato meccanismo di Machine Learning.
Con “Counterpoint”, Clement pare sospingerci nello spazio in-between che soggiace alla strutturazione dualista dell’era ipermediale di umano e non umano, culturale e artificiale, presente e virtuale. Nessuna sintesi, ma un’asimmetria velatamente ostile nei nostri confronti: resi improvvisamente suscettibili, abitiamo un dubbio che contribuiamo attivamente ad esasperare. Facendo del cono d’ombra il proprio lemma costitutivo, l’esposizione porta all’implosione della categoria freudiana di perturbante nella sua ambivalenza semantica. Clement orchestra in questo senso un ambiente all’apparenza confortevole, una natura morta esclusiva con vaso di fiori meta-impressionista, divani in pelle e allegorie femminili. Vige una lussuosa estetica da showroom che ci illude, almeno a primo impatto, di visitare una rassegna figurativa tradizionale. Tuttavia, i Doppelgänger dell’artista sono bambole artificiali, cognitivamente sensibili, sessualmente funzionanti e tutt’altro che rassicuranti. Astraendo in close-up lembi di corpi femminili in pose sensuali, le fotografie scattate con iPhone della serie “Body Fallacy” (2021) ci ingannano: l’eccessiva levigatezza dell’epidermide ha più a che fare con le superfici dei touchscreen che con quelle dei viventi, giacché ad essere immortalate appaiono le membra di una sex doll. Solo in maniera progressiva Clement ci lascia intuire che il corpo estraneo, l’oggetto delle fantasie e del riso dell’inorganico, siamo noi: ne rendono conto il passaggio cartografico dagli oscuri scatti di arti corporei di Disruption (2018), i manichini di Inaction (2021), colti nel rassettare, come un guanto merleau-pontiano, una pelle non loro, e ancora il rivelarsi delle giunture metalliche delle fotografie di Gliedermensch (2017). Il percorso termina con il video Human Error (2021) in cui il deus ex machina, sinora invisibile, si manifesta nell’agone solipsistico di un’erma bifronte meccanizzata.
Nel flusso dell’esibire e del sovraesporre, “la cosa che sente” di cui discuteva Perniola è anzitutto una superficie, un involucro senza accidenti che dissimula l’orrore dell’interno: gli umori, i tessuti molli, i dati sensibili. Guardarsi dentro provoca dolore ma, come Clement ci suggerisce magistralmente, la superficie è un’entità vertiginosa di cui vanno esplorati i recessi e sfidati gli ingranaggi.