Guardare una fiera in trasparenza: miart 2022 di , ,

di , , 7 Aprile 2022

News, riflessioni, fortune storiche, critiche ed economiche sul mercato dell’arte in Italia. Una rubrica a cura di Stefano Baia Curioni.

Dal fervore delle inaugurazioni degli ultimi giorni a Milano si percepisce che l’apertura della fiera d’arte contemporanea è vissuta, dopo anni di difficoltà, dalla città con grande voglia di ripartire. L’ultima volta è stata solo sette mesi fa, in un settembre concitato in cui si sono sovrapposti molti eventi in poco tempo. Milano lo scorso settembre, in una riapertura condotta più sull’onda della resistenza, ha vissuto un po’ all’ombra di Basilea. Questa edizione voluta con forza senza rispettare il canonico intervallo di dodici mesi, recupera il ritmo primaverile dell’evento e vive una nuova intensità.

La pandemia ha lasciato tracce significative nelle dinamiche globali del sistema dell’arte, con una flessione dei volumi totali, solo in parte compensata dalla crescita del mercato sugli NFT. Gli scenari di guerra, impensabili ancora oggi, allungano ombre sul futuro civile ed economico. Forse proprio per questo miart si presenta come un’occasione in cui il mercato diventa un simbolo civile.

Una fiera è una fiera si dirà, un luogo di vendite e di acquisti. Certamente vero, ma quando si gioca con l’arte, i termini della questione non sono mai così chiari. Il mercato dell’arte è parte di un sistema complesso, in cui pulsano simultaneamente passioni economiche e culturali, visioni estetiche e politiche. Dietro ogni prezzo possiamo essere sorpresi dalla possibilità di una visione poetica. L’arte contemporanea esprime soprattutto libertà, anche quando è merce di scambio.

Abbiamo così visitato miart guardandola in trasparenza: gallerie, artisti, ma anche – non visti ma presenti – musei, curatori, ricerche, pubblicazioni, discipline assidue e abbiamo fatto alcune semplici riflessioni: per esempio che si può guardare a una fiera come a un luogo di collaborazione tra alcune delle più importanti istituzioni e proposte curatoriali del mondo. Non nel display, certo, o nell’apparato espositivo direttamente esibito, che pure risponde a precisi criteri di selezione da parte dei curatori delle diverse sezioni, quanto più nel percorso di selezione che ha condotto tanti artisti ad essere rappresentati nelle gallerie presenti Troviamo così, per fare alcuni esempi sporadici: il MoMA di New York, che ha ospitato 33 tra gli artisti presenti in fiera,  sia italiani come Enrico Baj, Alberto Burri, Alighiero Boetti, Davide Boriani, sia internazionali come Francis Alÿs, Matt Mullican, Corita Kent; il MoMA PS1, luogo simbolo del contemporaneo nel Queens, nel quale sono stati esposti 24 artisti tra gli altri Simone Fattal, Adrian Paci, Katherine Bradford, Raúl de Nieves, Massimo Bartolini ed Elisabetta Benassi, Luca Vitone; il Centre Pompidou di Parigi, con 21 artisti, tra cui Dadamaino, Enzo Cucchi, Ugo La Pietra, Hans Op De Beeck, Pier Paolo Calzolari e Claudio Costa al Centre Pompidou Metz; il ZKM di Karlsruhe con 18 artisti tra cui Elisabetta Benassi, Agostino Bonalumi, Hans Op de Beeck. Seguono poi i musei italiani con Castello di Rivoli, tra i principali centri di ricerca italiani sul contemporaneo, con 8 artisti, Carla Accardi, Claudia Comte, Francesco Arena, Gianni Caravaggio, Luigi Ghirri, Marinella Senatore, Piero Gilardi; il MACRO e il MAXXI di Roma (la lista completa è illustrata nel dettaglio in appendice).

Al tempo stesso simile e diversa la situazione degli artisti presentati dalle gallerie Emergent. In questo caso l’età più giovane degli artisti e la minore presenza delle gallerie nelle relazioni con i musei, producono una rete molto meno densa, e ruoli molto più distribuiti e omogenei tra i diversi musei che tendono ad essere coinvolti su singoli artisti e singole gallerie. Siamo dunque all’inizio del ciclo di vita.

Insomma, solo qualche suggerimento questa volta –per il momento, per il luogo, per il tempo in cui succede e anche un po’ per il futuro – guardiamo alla fiera dell’arte contemporanea come una ritrovata libertà e cultura. È possibile, è anche facile.

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Laura Forti