Tassativamente more. Anzi mora una, bruna l’altra.
Scapigliata per poetica la prima di nascita, liscia come una linea retta la seconda. I natali di entrambe sono partenopei. Per una radicati sulla scogliera di Posillipo dove ha trascorso anche i mesi di resilienza della recente Pandemia, mentre l’altra appartiene a quel materiale ematico che protrude nel lume del vaso della grande arteria brulicante di Via Foria e dei suoi labirintici dintorni, dove tuttora risiede.Per entrambe dimora, familiarità e legami parentali sono un groviglio e un eterno, implacabile ritorno. La città di Napoli le porta in gestazione da sempre.
Ora si tratta dell’incontro dei loro corpi, prevalentemente spogli di orpelli e camuffamenti. Corpi che resistono a un irrefrenabile impulso di morte che sospinge costante dalle quinte di ogni immagine. Corpi che si fanno scudo e barriera, ammonimento e sopratutto preservazione. Che riconoscono lo stesso disagio e lo sanno personificare in pose diverte. Corpi coetanei la cui rappresentazione fotografica riporta una datazione che li distanzia di trent’anni. Lasso di tempo che infuoca i rispecchiamenti in un gioco consapevole di spontanei omaggi. Betty Bee e’ oscuro presagio di SAGG Napoli o SAGG Napoli e’ un’animata resurrezione ante litteram di Betty Bee? Possibile entrambe, vera nessuna! Di certo l’una valida l’altra e guardarle allo specchio e’ un avvincente esperimento del pensiero. Immaginarle dalla prospettiva di un cannocchiale ribaltato provoca vertigine. Leggere SAGG Napoli attraverso l’esperienza di Betty Bee e rileggere Betty Bee attraverso quella di SAGG Napoli.
L’avvio, la captatio benevolentiae, e’ tuttavia affidata a un dichiarato omaggio. Due lapidi distinte e diversamente formalizzate annunciano la possibile morte di entrambe. Una recita in oro su rosa le svariate occupazioni e pre-occupazioni che Elisabetta ha vissuto e quindi interpretato tra il ’95 e il ’02 e sulle quali, con la complicità di Sofia, abbiamo dato titolo a questo incontro inaspettato ma fortemente invocato. L’altra invece la interpreta scendendo dalla parete, facendosi largo nella stanza, posizionandosi come monolite minimale, un altro vero oscuro presagio, perché SAGG e’ molto più dark di Betty e Betty e’ molto più ironica di SAGG! E su questo totem riassume il romantico epitaffio della collega in un sogghigno (o forse una smorfia) e due definitive apposizioni per sempre: artista e atleta, punto e a capo. La data di nascita e’ riportata con esattezza in SAGG, resta in bilico in Betty (il primo grande enigma), mentre quella di morte per entrambe e’ temporaneamente sospesa.
SAGG Napoli presenta poi quattro scatti, primi di un serie completa di dodici — idealmente un calendario nelle intenzioni — dove pose più o meno erotiche sullo sfondo di vari volti di Napoli la ritraggono diversamente coinvolta, a suo modo, in altre occupazioni e pre-occupazioni. Accanto ai quadro ritratti una serie di istruzioni per evacuare giornalmente quell’istinto di morte del mio incipit, quell’irrefrenabile voragine o valanga che ogni cosa potrebbe travolgere. Una forma di contenimento e di argine. Pose per questo studiate al dettaglio. Nulla lasciato al caso sotto i fuochi d’artificio del litorale, in compagnia dei corridori del Museo Archeologico, lungo la stazione di Afragola di Zaha Hadid o di fronte alle botteghe del centro. Le foto, posizionate a coppia come giani bifronte, si guardano intorno su una parete appositamente creata come Arco di Trionfo alla napoletana, a destra e sinistra, davanti e dietro del varco centrale.
Betty Bee nella stessa stanza rivisita se stessa e recupera alcuni momenti altamente iconici che vengono messi in relazione tra loro. Due elementi ricorrenti: una vasca da bagno rosa come quella lapide e un filo spinato oro come le parole di quell’epitaffio. Nella vasca stanno sia il padre nel video cult Lionetti Luigi classe 1920 e lei di spalle, rigida come le gambe di quel manichino che sputano fuori dall’acqua nello scatto di Armin Linke e sulle quali lei ha tatuato a mano lo stesso motivo spinato che tende a imprigionare i fiori carnosi dell’unico quadro in mostra. Sono imbrigliati dalla rete di un filo spinato allentato che si propaga oltre i confini del dipinto. Potrebbe sembrare una natura recisa più libera di respirare rispetto a quelle del passato, ma in vero il mazzo e’ strozzata, impiccato alla radice. E poi di nuovo lei che prende fuoco legata a un palo al di sopra degli scatti di quell’investigatore assoldato per restituirle, inconsapevolmente, un’immagine autonoma sì, ma vincolata ai concetti e ai preconcetti della stessa società che la giudicava. E per concludere un discesa statuaria dalla classica scalinata, fiera come in uno scatto di Helmut Newton, ma con le mutante calate.
Betty guarda SAGG che le ricambia lo sguardo.