Viasaterna è lieta di presentare “Meccanica”, mostra collettiva a cura di Giorgio Verzotti con opere di Dadamaino, Irma Blank, Niele Toroni, Sergio Lombardo, Bertrand Lavier,Giovanni Rizzoli, Daniele Innamorato e Camilla Gurgone.
L’atto ripetitivo, meccanico, seriale, sottrae pathos alla creazione artistica, romanticamente intesa come unica, irripetibile, assegnabile al Genio creatore. Con l’atto meccanico, come tale destituito di ogni aulicità, già le avanguardie storiche (pensiamo ai futuristi e alla loro Arte Meccanica) e poi soprattutto le neoavanguardie del secondo dopoguerra hanno combattuto l’autorialità come residuo, appunto, romantico: la “morte dell’autore” di cui parlava Barthes negli anni Sessanta prelude all’“opera aperta” di cui parlava Eco: il testo si apre alla comprensione e anche alla partecipazione del pubblico, i linguaggi artistici da specialistici si “democratizzano” fino a stimolare la creatività diffusa. “Chiunque può fare quello che faccio io”, diceva Alighiero Boetti, e “ognuno è potenzialmente un artista”, diceva Joseph Beuys.
Di qui, l’atto meccanico, la ripetizione, la casualità divenuta principio attivo, generativo e ordinatore di forma, di linguaggio, di opere. Diverse le motivazioni e le modalità, come si vede nella scelta, certo non esaustiva, degli artisti presenti in questa mostra, determinate anche dalle esigenze culturali tipiche delle diverse epoche in cui essi hanno vissuto e lavorato, dagli anni Cinquanta ad oggi. Per reagire all’eccessivo soggettivismo delle poetiche informali Dadamaino decide di saturare la tela con tagli impersonali e inespressivi, o con rilievi aggettanti posti in sequenze seriali. Per contestare il pathos romantico che circonda l’idea tradizionale di pittore, Niele Toroni si spinge a ridurre l’atto artistico all’applicazione (su tele o pareti) di impronte di pennello sempre uguali e applicate sempre alla stessa distanza l’uno dall’altro. Con lo stesso intento demistificante, Sergio Lombardo ha fondato un vero e proprio metodo, un insieme coerente di regole compositive dove l’atto creativo è pensato in funzione della reazione, fisica e psicologica, del pubblico. Irma Blank con le sue Radical Writings traccia linee parallele in pittura blu, il colore del cielo, intese come tracce di una scrittura minimale sempre uguale ma proprio perciò aperta a significati universali. Con la sua ironia “postmoderna”, Bertrand Lavier crea un corto circuito nei rapporti consueti fra arte “alta” e kitsch proponendo gli schemi colorati di comuni tovaglie come fossero composizioni astratte, mentre la pittura “vera” semplicemente ne ripete schemi e colori. Daniele Innamorato lascia cadere il colore sulle superfici che poi ricopre con fogli di cellophane che poi dopo rimuove, dove il risultato, in gran parte imprevisto, avviene grazie a questo “per via di levare”. Giovanni Rizzoli ha adottato da tempo una tecnica più elaborata ma altrettanto impersonale. Il colore sulle sue superfici damascate viene iniettato tramite flebo cariche di colore e lasciate operare per un tempo variabile. Camilla Gurgone, esponente delle generazioni più giovani, delega parte del suo complesso lavoro, fra installazione e performance, all’intervento dell’Intelligenza Artificiale dove la macchina diventa vero e proprio partner dell’azione.
Questa selezione di artisti per quanto non esaustiva pone nondimeno una questione, che è poi la ragione della mostra stessa: come pensare l’antiautorialità oggi, nell’epoca in cui molta della creatività umana viene delegata alla macchina “intelligente”?