Galleria Raffaella Cortese continua l’approfondimento dell’opera di Simone Forti attraverso la terza mostra a lei dedicata, ideata in conversazione con il gallerista romano Fabio Sargentini che nel 1968 presentò il lavoro dell’artista nella sua galleria di ricerca L’Attico, nella cui occasione Forti performò per la prima volta in Europa.
L’intento principale della mostra, che si sviluppa nei due spazi aperti su strada della galleria, è quello di mostrare l’unicità del percorso artistico di Simone Forti ponendo l’attenzione sul processo di materializzazione del movimento, ovvero sulla straordinaria abilità dell’artista di render vivida la gestualità a cui l’opera, anche di carattere non performativo, fa riferimento. Un processo che conferma l’assoluta centralità del gesto rivelando il medium espressivo utilizzato come incessantemente trepido e facendo sì che gli aspetti cardine della ricerca di Forti – la consapevolezza cinestetica, la centralità del corpo e la sua connessione irradiata al mondo, il movimento qualitativo, lo studio sugli animali, la ritualizzazione del movimento nonché il binomio libertà-cattività, il confine tra il soggetto e l’oggetto, la profonda analisi sul gesto condizionato dalla malattia – vibrino incessantemente sulla superficie dell’opera. Lo spazio di via Stradella 1 si focalizza principalmente sul prolungato studio sugli animali e dei loro movimenti incondizionati intrapreso da Simone Forti nel 1968. Tale approfondita ricerca è ravvisabile nella serie Tree Drawing: I Stand Where a Bear Stood Clawing This Tree del 2010, intimo e poetico lavoro sul rapporto quasi fisico dell’artista con questi possenti animali, e nel polittico Animal Study – Oxen, Turkey, Ostrich (1982) disegni che segnano l’inizio dell’uso del linguaggio nell’opera dell’artista e mostrano il tentativo di trascrivere l’interezza dei corpi animali e la loro fluidità ponendo in relazione i loro movimenti con i loro sistemi di comunicazione, per uno studio sulla relazione tra danza e parola.
Nel 1974 l’artista ha espresso la sua visione del dramma della cattività nel video Three Grizzlies – titolo che mette in risalto un rituale funzionale di sopravvivenza – nel quale attraverso la camera segue senza tregua tre orsi grizzly allo zoo di Brooklyn mentre girano, si girano e si agitano dietro una gabbia, rendendo il senso di prigionia, noia e disperazione fisica estremamente palpabile. Nello spazio di via Stradella 4 sono esposti i lavori della serie Anatomy Maps (1985) in cui la stretta correlazione tra corpo e mondo – e, dunque, appartenenza – è resa manifesta. Sono infatti il frutto degli studi di anatomia sperimentale compiuti da Simone Forti insieme ad Anna Halprin durante i quali l’artista ha avuto modo di studiare in maniera dettagliata e tattile lo scheletro nella sua meravigliosa complessità e soprattutto il modo in cui esso è incollato ai muscoli e si connette agli altri componenti del corpo ravvisando una similitudine atavica con la terra e sovrapponendo le cavità delle ossa agli infiniti sentieri del globo. Esposte anche una serie di foto che mostrano una sequenza di atti performativi alla galleria L’Attico di Fabio Sargentini nel febbraio 1969. In queste immagini l’artista si esibisce tra gli oggetti nella galleria. I materiali nello spazio sono i detriti di un pezzo smontato di Mario Merz – che aveva una mostra a L’Attico quello stesso mese – e Forti si è confrontata direttamente con i resti, riutilizzando e attivando alcuni degli elementi di Merz per trasformarli da sculture in elementi di danza. Ad accompagnare la mostra un piccolo pensiero scritto da Fabio Sargentini in occasione della performance Logomotion di Simone Forti tenuta nel 2008 nello spazio della galleria L’Attico a Roma.