MASSIMODECARLO è lieta di presentare “No Room for Emptiness”, la prima mostra personale in Italia dell’artista francese Diane Dal-Pra. Un titolo che potrebbe evocare un’idea di sovrabbondanza, che suggerisce spazi ricolmi – ma Dal-Pra sovverte questa aspettativa. L’artista flirta con il vuoto, lo dilata, lo rende tangibile. Le sue opere vivono in uno stato di splendida instabilità: i corpi affiorano e scompaiono, i drappi si trasformano in paesaggi, gli spazi si piegano su se stessi come tessuti. Le sue composizioni sono stratificate, velate, enigmatiche. Le pieghe, elemento ricorrente nel suo lavoro, non si limitano a cadere morbide: celano e seducono. Ispirandosi alla filosofia di Gilles Deleuze, Dal-Pra esplora l’idea di una materia in continua trasformazione, che non si assesta mai del tutto. “Il tratto barocco torce e avvolge le pieghe, spingendole verso l’infinito, piega su piega, una sull’altra”, scriveva Deleuze. Dal-Pra fa sua questa visione, trasformando il tessuto in un luogo della memoria, una superficie che assorbe e deforma, come un’entità viva e pulsante.
Nel suo saggio La piega (1993), Deleuze immagina un mondo fatto di ondulazioni infinite, in cui la realtà sfugge alla linearità e scorre tra il tangibile e il metafisico. Le sue teorie intrecciano la dimensione fisica con quella interiore, e i dipinti di Dal-Pra riflettono questo stesso paradosso. Le sue opere, come le pieghe labirintiche di Deleuze, non trovano mai quiete: si attorcigliano, si ritirano, avvolgono. Ma se Deleuze teorizza l’astrazione, Dal-Pra la riconduce al concreto: nelle pieghe di un tessuto sotto il peso di una testa reclinata, nella calma quasi soffocante delle tende che segnano il passaggio dal giorno alla notte. Le pieghe dell’artista francese esistono tanto nella mente quanto nel corpo, concettuali e al tempo stesso profondamente umane. I titoli delle sue opere – Eternal Interval, Echoes of Patience, From Solid to Gaseous, Voids Refuge – sembrano istruzioni criptiche, sintetici racconti di transitorietà e trasformazione. Il vuoto non è mai una minaccia per Dal-Pra, ma un rifugio, uno spazio da abitare.
Nonostante la loro apparente calma immobile, le opere sono profonde e intense. Le figure – spalle larghe, trecce solide – sembrano sul punto di dissolversi. La loro presenza è fragile, un’eco di qualcosa che è stato. I dettagli sono resi con meticolosa, quasi ossessiva, precisione: il peso di un drappo, il sussurro della pelle contro il tessuto. Nelle mani di Dal-Pra, il vuoto non è mai carenza: è denso, carico, incombente. C’è un’ironia nel modo in cui Dal-Pra accoglie il vuoto. Non lo teme, lo dirige, lo mette in scena. Anche l’immobilità inganna: ogni dipinto è animato dalla tensione di qualcosa che sta per accadere. “No Room for Emptiness” non vuole riempire lo spazio, ma mettere in discussione ciò che lo spazio è. Nel mondo di Dal-Pra, il vuoto non è un’assenza, ma un fitto intreccio di drappi. Si insinua nelle pause, tra le pieghe, negli spazi sospesi dove le storie prendono forma. Queste opere richiedono lentezza, intimità, l’attenzione verso qualcosa che rimane sempre un passo oltre la nostra presa.