Un giorno d’Ottobre sono a Milano per appuntamenti, come al solito. Ne ho sempre tanti e a un certo punto non ne posso più. Mi trovo a passare in Piazza Duomo, dove lavorano i pittori dei ritratti. Li conosco bene perché tempo fa ne ho fatti fare una decina per mia moglie, una sorpresa per il suo compleanno.
Decido di regalarmene uno anche io. Così sto seduto un po’ e mi riposo. Chiedo quanto costa: da 20 a 30 euro secondo il formato. Quanto tempo? Mezz’oretta. Ci sto giusto, mi metto in posa. Più alto, su lo sguardo, naso più a destra per favore, fermo così grazie. Faccio una telefonata. Eh no, perbacco! Provo con l’iPad, niente da fare, devo stare attento. De Gunzo Gabriele mica scherza, è il suo lavoro, lo prende seriamente. Alla fine ci metterà quasi un’ora, ma senza aumenti di costo.
Molti dei passanti si fermano. Quelli che scendono nel senso giusto iniziano a guardare da lontano, poi man mano allungano il collo. Comparano me al dipinto e il dipinto a me, guardando alternativamente entrambi. Chi viene contromano invece fa una inversione a U per vedere. I più timidi fanno finta di niente. Se li fisso se ne vanno. Altri chiamano gli amici. Gruppi di cinesi o coreani ridono divertiti. Cosa avranno da ridere? Ridono perché sono somigliante o per il motivo opposto? Lo saprò solo alla fine.
Ma, Gabriele, Lei ha studiato o viene dalla gavetta? No, ho fatto Brera. Addirittura! E con chi? Professor Fabro, Luciano Fabro. Faccio un salto sulla sedia. (Insomma vuole star fermo?) Fabro! Ma era uno dei grandi e uno dei miei artisti… Ah, sì? Ma De Gunzo non fa una piega, non alza nemmeno un sopracciglio. Uno avrebbe dovuto alzarlo ripensando a Fabro, e l’altro sentendo che sono gallerista. Invece niente turba il suo volto e lo sguardo concentrato sul mio ritratto.
Un vero professionista. Ha imparato un mestiere, ha imparato a disegnare. Ha preso l’Accademia alla lettera. Belle Arti? Belle Arti! Non vuol fare l’eroe né il protagonista. Lavora, disegna. Chissà se Luciano da lassù oggi s’è divertito.
I giapponesi impazzano. Chissà come sto venendo? Decido di fotografare con il cellulare. Non posso partecipare altrimenti. Fotografo Gunzo da solo e poi lui con i musi gialli alle spalle; non si sa mai che ne scriva una storia, magari illustrata…
E lui avanti. Arriva la moglie con un cartoccio di cibi per sfamare l’artista. Lo appoggia vicino a me. Di dove è Lei? (io). Brescia… Non ci crede, anche lei, la moglie, è di Brescia, anzi più precisamente della Vallecamonica. Anche io: sono nato a Pisogne, Vallecamonica. Impossibile. Mi tocca esibire la carta d’identità… Ormai siamo quasi parenti; ma conosce Tedeschi? E la Ghitti? Ma certo! E lui imperterrito, in silenzio, un mesto sorriso, Gabriele sfuma.
Ormai siamo agli sgoccioli, fra poco mi vedrò. Ma lei impazza: sa, studiava con Fabro. Lo so, me lo ha detto prima del Suo arrivo. Anche con Jole de Sanna. Caspita era un’amica. Morta in un incidente, già che disastro. Ma chi erano i suoi compagni? Non se li ricorda. Qualche nome, ma nessuno ce l’ha fatta… E quanto costa fare una mostra da Lei, s’informa (sempre la moglie). Niente, anzi pago io, ma scelgo chi mi pare. Delusione. Capisce che non lavorerò con suo marito, ma un po’ mi prende per pazzo. D’altronde, ognuno ha le proprie perversioni, come mi ha detto Aldo Busi una volta e ne aveva ben donde.
Il ritratto è finito, me lo gira, sono un po’ deluso, mi credevo meglio. Mi ha fatto un faccino piccolo piccolo. Bocca stretta d’accordo, ma poteva dare di più.
I coreani mi guardano con il disegno in mano, mi fotografano. Ne farò un altro più avanti. Anzi, me ne faccio fare alcuni, così li metto a casa con quelli di mia moglie, anche lei della Vallecamonica…