Valerio Borgonuovo: Di cosa si occupa la tua ricerca?
Elia Cantori: Gran parte del mio lavoro riflette sulla scultura e sulla (tri)dimensionalità. Ogni volta che affronto un’opera provo a estendere ulteriormente tale campo di analisi e di intervento senza mai allontanarmene totalmente. Sia che si tratti di un oggetto, di un’installazione o di un’immagine, cerco di rendere visibile attraverso forme semplici il processo e la materia di cui l’opera si costituisce. Ho la sensazione di fare scultura anche quando utilizzo materiali o mezzi canonicamente meno consueti come il video, il suono o la fotografia. Nel caso del video, per esempio, esso è adoperato come un mezzo attraverso cui indagare con differenti modalità gli elementi al fine di avere una visione più fisica del soggetto. O nel caso della fotografia, che cerco di trattare non come un mezzo ma come un materiale, avvalendomi per esempio dell’uso diretto della carta fotosensibile in quanto capace di imprimere e registrare la luce come in un “calco”.
VB: In che modo il tuo lavoro occupa lo spazio e il tempo stabilendo talvolta uno stato di simbiosi con il luogo di produzione?
EC: Ne La poetica dello spazio, Gaston Bachelard scrive sulle due diverse forme di esistenza dell’architettura: una fisica, stabilita dalla forma e dalla geometria delle cose e una fenomenologica, dettata dall’esperienza fisica ed emozionale dello spazio. Spesso le mie sculture fanno riferimento a questo spazio del pensiero, in cui la logica del movimento è messa in dubbio e il tempo alterato. Ne è un esempio Stanza: una sfera costituita dalle macerie polverizzate del mio studio. In questo caso il tempo e lo spazio appaiono condensati in quello che potrebbe essere contemporaneamente la sintesi, la fine e l’origine della stanza stessa. Più recentemente ho tappezzato un’intera stanza del mio studio con fogli di carta fotosensibile per poi autoregistrarla mediante l’uso della sua stessa luce di illuminazione [Senza Titolo (Studio)]. L’esperienza finale del lavoro è straniante. Sia lo spazio della stanza sia il tempo, segnato da un calendario e da un orologio, si sono autoimpressi sulla carta, generando una sorta di ologramma spazio-temporale dell’intero ambiente; dando al tutto un aspetto piuttosto cosmico.
VB: Quali sono le fonti della tua ricerca?
EC: Mi interessano tutti quei processi naturali, fisici o chimici in grado di trasformare la materia in altro: c’è qualcosa di estremamente misterioso che mi affascina. Ritengo che la possibilità stessa di modificare e plasmare un materiale offerta dall’arte abbia una certa analogia con la ricerca scientifica. Basti pensare alle strette connessioni tra scultura e materia, gravità, massa, volume, spazio e tempo. E poi ancora l’esperienza del vuoto o del nulla, che sono questioni il cui immaginario ricorre spesso nei miei lavori; a volte in maniera diretta, altre volte meno. Come quando solidifico e blocco il vuoto di un’esplosione, o restituisco — attraverso un lungo processo — l’immagine distorta del mio studio all’interno di un black hole.