L’attuale scena londinese è rigidamente governata dai colossi della sua vecchia generazione (Freud, Hockney, Bacon…), ma continua a offrire spunti per collegamenti con artisti internazionali esposti in giro per la città, alcuni dei quali italiani. Spesso, sul gran numero di musei e gallerie di Londra si incontrano spazi espositivi di dimensioni contenute rispetto alle istituzioni più convenzionali, ma di notevole consistenza curatoriale; è il caso della galleria Mummery+Schnelle, che ospita la prima mostra londinese di Giorgio Ciam (Port-Saint Martin 1941 – Torino 1996). Chiunque aspiri a esprimere un’identità artistica attraverso l’auto-analisi e il mezzo fotografico dovrebbe esaminare il lavoro di Ciam. Non ne conoscevo l’opera finché non mi ci sono imbattuta a una fiera italiana, riconoscendo alcuni codici espressivi cari a chi indaga sul corpo e il suo comportamento: l’uso dell’autoritratto, la necessità del mosso fotografico, l’idea del sé come presenza-assenza che interagisce con i soggetti e l’ambiente circostante attraverso le modalità performativo-teatrali.
Curata da Elena Re, la mostra riepiloga l’evoluzione di Ciam dalle prime Sculture Ambiente allo studio del comportamento, fino alle analogie e relazioni con la performance e la Body Art internazionali; aspetti che rendono l’opera di Ciam un prodotto adatto a un pubblico londinese colto, forse ormai troppo pregno di un’eredità alla Gilbert&George, e affascinato da una concettualità di matrice italiana; ed è pur vero che l’opera di Ciam racchiude in sé una naturale assonanza con il lavoro di un altro londinese per eccellenza: Francis Bacon. Ne è un esempio la serie di autoritratti degli anni Ottanta in mostra: l’artista fotografa quasi ossessivamente il proprio volto, proiettandovi immagini a esso estranee, tanto da renderlo plastico e deformato. Fino agli ultimi lavori degli anni Novanta, la ricerca sull’identità e sul volto umano sarà ostinata, così come incrollabile sarà l’urgenza di affidarsi alla fotografia.