Tra le molte conseguenze della globalizzazione dell’economia, una delle più evidenti è che la competizione, in qualsiasi mercato, non riguarda più soltanto le singole aziende, ma anche e soprattutto i territori. Un’azienda che fa buoni prodotti ma ha sede in un territorio povero di infrastrutture, privo di una reputazione di qualità riconoscibile e mal connesso, rischia di essere molto meno competitiva di una concorrente che fa prodotti mediocri ma che può contare su un territorio che possiede tutte le caratteristiche contestuali giuste. Questo stato di cose vale anche per il contesto dell’arte contemporanea, nonostante la dimensione commerciale si limiti soltanto a poche componenti del sistema complessivo, cioè quello delle gallerie e delle fiere — perché nel campo dell’arte non contano unicamente gli operatori che vendono, ma anche quelli che creano valore come i musei, gli spazi non profit, le biennali e i festival, le scuole e le accademie, le residenze, i grandi acquirenti, le istituzioni — e naturalmente degli artisti. È la concentrazione su un territorio di un numero significativo di operatori di vari tipi, e soprattutto è un mix efficace delle varie tipologie a definire la capacità competitiva di un luogo nel panorama attuale dell’arte contemporanea.
C’è in effetti una diffusa tendenza a sminuire l’importanza del fattore di localizzazione nelle dinamiche dell’arte di oggi, e non a caso tra i maggiori detrattori troviamo spesso gli artisti. Non è difficile capire perché: dal punto di vista dell’artista, l’interesse è quello di catalizzare l’attenzione sul proprio lavoro, e ogni enfasi particolare verso fattori “altri” non può che generare disagio in quanto porta implicitamente a sminuire il valore “assoluto” dell’opera. Va però detto che, se questo atteggiamento è particolarmente marcato e leggibile quando si ragiona sulla nazionalità, ovvero su una dimensione che non è stata scelta ma semplicemente “ereditata” e che comporta tutta una serie di implicazioni ambigue circa un supposto insieme di “caratteri nazionali” che possono contribuire a definire un determinato percorso artistico, diviene invece più sfumato e problematico quando si passa a considerare il luogo effettivo di residenza e di lavoro, che al contrario è più legato a una scelta personale e consapevole. E in effetti è più difficile argomentare che la scelta della città non sia poi così importante, a fronte di flussi migratori rilevanti e ben definiti che portano un grande numero di artisti a concentrarsi in un numero relativamente ristretto di “città capitali” globali, continentali e persino locali del sistema.
Quali sono allora i fattori che determinano il grado di centralità di una città nel sistema globale dell’arte contemporanea? La presenza di alcuni fattori è più importante di quella di altri? In effetti, il quadro appare molto più complesso di ciò che potrebbe sembrare a prima vista. I grandi eventi temporanei, come le biennali e i festival da un lato, e le fiere dall’altro, sono sicuramente molto importanti; ma con pochissime eccezioni (relative agli eventi più consolidati in un brand noto e riconoscibile), la capacità attrattiva stessa di questi eventi dipende in gran parte dalla qualità “complessiva” del sistema: affinché una biennale o una fiera sappia calamitare attenzione e visitatori occorre che si inserisca in un tessuto vitale e vivace, che moltiplichi i motivi di interesse da parte di chi deve scegliere e programmare un determinato viaggio all’interno di un menù sempre più ricco e diversificato di alternative disponibili, e questo vale a maggior ragione per chi, come nel caso delle gallerie che devono decidere se partecipare o meno a una fiera, deve scegliere su quali eventi investire un patrimonio di tempo e di risorse sempre più limitato rispetto alle possibilità da considerare. Quanto ai musei e agli spazi non profit, è indubbio che essi contribuiscano in modo decisivo a definire il potenziale di un luogo, e non a caso sulle principali riviste internazionali la pubblicità sulla programmazione tende spesso a essere acquistata collettivamente, inserendo nella stessa pagina l’intera programmazione offerta dalle varie istituzioni di un determinato territorio: la percezione della “massa critica” in termini sia di qualità che di quantità è decisiva per mettere un luogo sulla carta geografica globale. Altrettanto, e per motivi complementari, può dirsi per il sistema delle gallerie: ancora una volta, e con poche eccezioni, c’è un interesse oggettivo a essere parte di un sistema locale che ha una concentrazione significativa di presenze importanti, per quanto ciò comporti nell’immediato una forte concentrazione di concorrenti temibili dal punto di vista dell’attrazione dei collezionisti: i benefici dell’effetto-massa critica sono infatti di gran lunga superiori agli svantaggi dell’effetto-rivalità.
Ma, soprattutto ultimamente, anche la localizzazione di altri operatori un tempo meno importanti sta acquistando rilevanza crescente: pensiamo per esempio alle scuole d’arte e alle accademie, in una fase nella quale i galleristi e i curatori sono sempre più motivati a scoprire e a lanciare artisti all’alba della loro carriera. Una scuola “efficace”, capace cioè di formare artisti che tendono a essere ben accolti dal sistema, anche in virtù di un “marchio di fabbrica” momentaneamente cool e riconoscibile, può paradossalmente dare a un luogo una capacità attrattiva superiore a quella di altri più attrezzati su dimensioni differenti perché alla concentrazione di un fattore altamente significativo — i giovani artisti con un elevato potenziale — aggiunge l’incentivo dell’esplorazione e della scoperta, che consente, in caso di successo, di acquisire un vantaggio posizionale rispetto ai concorrenti della propria categoria. Tanto meglio, naturalmente, se la scuola si colloca in un sistema che presenta ulteriori punti di forza sugli altri versanti. E in effetti, bisogna osservare che la concentrazione stessa degli artisti gioca un ruolo importante e può contribuire in modo significativo alla scelta di localizzazione dei vari operatori, anche se questo effetto risulta in genere visibile soprattutto al livello della colonizzazione di una determinata area all’interno di un contesto urbano piuttosto che della sua scelta in quanto tale, ma anche qui non mancano le eccezioni. È interessante notare poi come il fenomeno sempre più pervasivo delle residenze stia contribuendo a modificare l’effetto attrattivo della concentrazione degli artisti: attraverso la residenza, infatti, ci si assicura che un numero significativo di artisti di qualità si concentri in un determinato luogo per tempi più o meno lunghi, a prescindere dalla disponibilità locale stabile di buoni artisti, e se il programma gode di sufficiente reputazione ciò garantisce che, senza considerare chi viene ospitato in un determinato momento, un certo numero di artisti interessanti sia sempre e comunque presente.
Se dunque vogliamo cercare di capire come mai determinate città riescono a essere più attrattive di altre, si potrebbe affermare che i fattori permanenti contano più di quelli temporanei: un sistema istituzionale solido, un’elevata concentrazione relativamente stabile di operatori di qualità, un buon grado di cooperazione tra gli attori locali, una grande disponibilità di risorse finalizzate. Gli eventi a forte richiamo funzionano (e soprattutto sono sostenibili) se possono fare leva su un solido retroterra, e a loro volta contribuiscono a renderlo più visibile e ad accrescerne la reputazione. Ciò significa naturalmente che non è possibile mettere una città sulla mappa globale dell’arte contemporanea con un’operazione di marketing per quanto abile, ricca e spregiudicata: occorre soprattutto saper lavorare sulla distanza e creare una cultura comune della qualità, del rigore, della professionalità. Non c’è quindi da meravigliarsi se la scena globale sia così animata ma allo stesso tempo così marcata da un’elevata mortalità, da tante città-cometa che sembrano promettere grandi cose per qualche anno per poi sprofondare rapidamente in un anonimato altrettanto grigio da quello da cui erano emerse. E soprattutto, questi processi non possono essere ingegnerizzati: se in una determinata città l’esperienza dell’arte viene vissuta con partecipazione ed entusiasmo, questo si sente e contribuisce a fare la differenza. Dove questa tensione non c’è, non ci sono risorse economiche che tengano. La presenza dell’arte dialoga in modo sottile con l’identità di una città, e produce alchimie molto complesse, che non sempre riescono, a prescindere dai capitali che vengono investiti. Ed è proprio questo che, in fondo, rende il gioco così affascinante.