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22 Ottobre 2015, 1:22 pm CET

Matthew Day Jackson di Fabiola Naldi

di Fabiola Naldi 22 Ottobre 2015
The Way we were, 2010. Materiali vari, 43 x 320 x 36 cm. Courtesy Peter Blum Gallery, New York. Foto: Matteo Monti.
The Way we were, 2010. Materiali vari, 43 x 320 x 36 cm. Courtesy Peter Blum Gallery, New York. Foto: Matteo Monti.
The Way we were, 2010. Materiali vari, 43 x 320 x 36 cm. Courtesy Peter Blum Gallery, New York. Foto: Matteo Monti.

Viviamo un’epoca in cui ogni attimo del quotidiano può essere registrato, archiviato e custodito. Esperienza collettiva e immaginario privato divengono un tutt’uno su cui redigere una nuova storia sociale. Allo stesso tempo, le ultime generazioni di operatori culturali si stanno lentamente “liberando” delle pesanti impostazioni estetiche del secolo scorso servendosi di ogni “ricordo” come se si trattasse di una nuova esperienza. Matthew Day Jackson incarna perfettamente questa nuova gerarchia estetica trascendendo i più effimeri rimandi culturali a favore di uno storytelling fresco e genuino. “In Search of…” non è solo il titolo della prima personale italiana di Jackson al MAMbo ma anche il titolo del video che diviene la struttura portante e la chiave di lettura delle altre opere esposte. In Search of… fa il verso a un celebre format televisivo americano trasmesso dal 1976 al 1982 in cui si indagavano misteri irrisolti e fenomeni al limite del paranormale. Non un remake in chiave contemporanea bensì un ibrido visivo (quasi una docu-fiction), nella cui ricostruzione narrativa di pura finzione si innestano altrettanti finti spot Audi che intercalano la ricostruzione “mitologica e mistica” della vita dell’artista. Partendo dal video, la mostra pare improvvisamente rivelarsi dinnanzi allo spettatore che naturalmente riesce a codificare opere come Study Collection VI, una gigantesca scatola dei ricordi divenuta una bacheca a parete colma di manufatti che insieme riecheggiano la storia dell’arte e il passato di diverse generazioni, e The Tomb un’altrettanto monumentale installazione ispirata alla tomba di Philippe Pot attribuita a Antoine Le Moiturier, oggi al Louvre. Le due grandi fotografie Me Dead at 35 e Me Dead at 36 sottolineano ancora la simulazione della morte dell’artista che resta ai posteri e anche ai suoi contemporanei solo tramite la materia stessa dell’opera. L’insieme esposto sospende perciò il tempo attuale manipolando la storia e le interpretazioni che avverranno quando noi e Jackson non potremo più controllarle.

Matthew Day Jackson, Study Collection VI, 2010. Materiali vari, 243,8 x 579,1 x 30,5 cm. Collezione Privata. Foto: Adam Reich;
Matthew Day Jackson, Study Collection VI, 2010. Materiali vari, 243,8 x 579,1 x 30,5 cm. Collezione Privata. Foto: Adam Reich.

 

MAMbo, Bologna.

Fabiola Naldi è critica d’arte e curatrice. Vive e lavora a Bologna.

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